ANTIMATTER: The Judas Table
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20/10/2015Il buon Mick Moss, dopo l’ottima collaborazione avuta nella fine del 2014 con Luis Fazendeiro a nome Sleeping Pulse e che è sfociata nella realizzazione del notevole 'Under The Same Sky', riprende quest’anno a mettere mano alla sua creatura principale, gli Antimatter, pubblicando quello che è il sesto album della band nata dalla collaborazione dello stesso Mick Moss e dell’ex Anathema Duncan Patterson. Moss si inquadra, come la sua band, tra gli artisti qualitativamente più interessanti del panorama del rock malinconico a livello europeo, e con il nuovo album 'The Judas Table', prodotto per Prophecy Productions, ne consolida il suo ruolo.'The Judas Table' parla sostanzialmente dei comportamenti dell’essere umano, i quali possiedono pregi e difetti, e limiti talvolta invalicabili, che hanno a che fare anche con aspetti della psiche umana, e che gioco forza si ripercuotono nella sfera sociale; le diverse identità e personalità che si incontrano anche semplicemente osservando le persone nei loro occhi, e che Mick Moss prova a farle proprie cercando di esprimere, attraverso le liriche di quest’album, come l’essere umano tenta di sopravvivere nella vita quotidiana. Musicalmente parlando si tratta di un album dal livello sicuramente interessante, denso di spunti notevoli e qualitativamente alto. La resa vocale ed interpretativa di Mick Moss rimane indiscutibile, inalterata negli anni, e riesce con la sua voce calda ad entrare nelle pieghe dell’anima dell’ascoltatore, cercando di renderlo consapevole che la vita e tutto ciò che le ruota intorno possono cambiare in meglio. I momenti più alti li possiamo trovare nella stupenda “Stillborn Empires”, che si divide tra rock atmosferico e struggente, e passaggi vicini alla musica sinfonica, la quale nella parte finale si accavalla con sezioni rock trascinanti; e in “Hole”, pezzo sostanzialmente acustico, in cui vengono scomodati solamente voce e chitarra acustica, con l’inserimento velato di sottili percussioni, il quale nonostante sembri prendere spunto dalla bellissima “Windowpane” degli Opeth, riesce grazie alle melodie ed alle parole di Moss accompagnate da sussurri femminili a crescere di personalità ed emozione, e ad assumere vita propria. Altro momento interessante lo si può riscontrare in un brano come “Can Of Worms”, nel quale si inseriscono in maniera importante fraseggi degni dell’alternative rock di scuola americana soprattutto nel ritornello, in cui la voce di Mick Moss sembra ricordare certe intuizioni di Eddie Vedder, piuttosto che del leader degli Staind, Aaron Lewis. Sebbene sia un album complessivamente ben fatto e ben confezionato, anche nella qualità artistica della copertina, non si riescono a raggiungere in pieno quei picchi emozionali e trascendentali che si incontrano nell’ascolto di perle passate quali 'Leaving Eden' e 'Fear Of A Unique Identity', che ancora oggi riecheggiano nella mente degli appassionati come momenti di immenso valore, tendendo invece a standardizzarsi su livelli più convenzionali, per non dire commerciali. Nonostante questo, c’è comunque poco da discutere sulla classe e sul tatto di un artista quale è Mick Moss, capace di disegnare bellezze artistiche anche solo prendendo in mano il microfono e dando sfogo alla sua voce.
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