ANATHEMA: DISTANT SATELLITES
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26/07/2014Esiste, a modo di vedere di chi scrive, una sottile interconnessione tra i vari individui coi loro rapporti interpersonali ed i satelliti menzionati nell'evocativo titolo del nuovo viaggio nell'animo umano degli ormai inappuntabili Anathema. Così come i satelliti orbitano tanto attorno al Sole quanto al Pianeta al quale sono legati, allo stesso modo le persone basano la propria esistenza sull'interazione con altri loro simili nell'eterna ricerca di stabilità ed equilibrio. Ma nel momento in cui anche uno solo di questi "tasselli" dovesse in qualche modo venir meno, rischieremmo di assistere ad un "crollo" i cui esiti sarebbero tutt'altro che certi. Fortunatamente quella prodigiosa macchina che risponde al nome di cervello umano, al pari dell'Universo teoricamente infinito ed in continua espansione, riporta sempre a suo modo e coi suoi tempi l'ordine, la serenità, la consapevolezza. In tal senso l'incipit di "The Lost Song Part 1" è quanto di più esplicativo a riguardo: "tonight i'm free, so free; for the first time i've seen new life; start to breathe", donandoci l'immagine di un ipotetico protagonista che, di pari passo con le note, esce dal turbinìo di eventi negativi rafforzato da una nuova consapevolezza, con ritrovata serenità e fiducia nel futuro in un crescendo di tumultuosa felicità, finalmente in pace con sé stesso e col mondo che lo circonda. Una sensazione meravigliosa che si intreccia vellutatamente alla dolcezza di "The Lost Song Part 2" e si espande letteralmente in un crescendo di pura gioia liberatoria. Ora è il momento di ripartire e la decisa malinconia di "Dusk (Dark Is Descending)" gli permette di osservare quanto faticosamente lasciato indietro e gli dona con fermezza la positiva spinta per intraprendere il nuovo percorso. Un percorso che, in "Ariel", si dipana su una dimensione totalmente nuova fatta di infinite possibilità, in un caldo abbraccio di abbaglianti luci che sfocia in "The Lost Song Part 3", nella giusta e naturale conclusione del ciclo di "ripristino" e nell'inizio di una nuova avventura fatta di maggiore e consapevole maturità. Con l'autocelebrativa "Anathema", infine, viene rappresentata la perfetta chiosa di un percorso intimo ed emotivo che tutti, prima o poi, si trovano ad affrontare nella propria esistenza, anche se non necessariamente da soli, come tiene a ricordarci Vincent Cavanagh in "You're Not Alone" col suo quasi ossessivo e disperato ripetere che non siamo soli. Mai. Ha dell'incredibile la perfetta ed ormai costante interconnessione che i fratelli Cavanagh (e i fratelli Douglas) hanno con le più recondite emozioni che si celano nel profondo dell'animo umano, quasi riuscissero a leggere in ognuno di noi. Una capacità che li porta ad esprimersi, in chiusura, in maniera inaspettata con rimandi cari tanto agli ultimi Radiohead quanto ai magnifici Sigur Ros, il tutto ovviamente filtrato attraverso quel loro gusto melodico prettamente british che abbiamo imparato a riconoscere negli anni. Che sia l'alba di un ennesimo nuovo percorso anche per loro? Non ci resta che aspettare e, visti i risultati raggiunti fino ad oggi, sperare che sia realmente così. Nell'attesa, lasciatevi trasportare con fiducia dalle ammalianti note e dal vigoroso abbraccio di una Vita che, spesso lo dimentichiamo, è fin troppo breve per essere relegata in un limbo di apatia e ristagno che nulla ha di umano.
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