ALTER BRIDGE: ONE DAY REMAINS
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17/04/2005C'erano una volta due bands molto diverse ma legate da un unico destino: Creed e Mayfield Four. I primi frettolosamente ed erroneamente identificati come cloni dei Pearl Jam riuscirono nello spazio di tre album a vendere trenta milioni di dischi, per poi implodere a seguito dei dissidi interni; i secondi partiti con tutti i favori della critica grazie ad un bellissimo esordio ("Fallout") seguito da un ottimo "Second Skin" si sciolsero tra l'indifferenza generale. Casi della vita i due gruppi nel loro momento di massimo fulgore erano stati insieme per un lungo tour dove reciproca ammirazione ed amicizia erano state saldate.
Proprio da qui ha inizio la storia degli Alter Bridge: Mark Tremonti (chitarre), Scott Phillips (batteria) dei Creed, dopo essersi separati dal cantante Scott Stapp ed essersi riuniti col bassista Brian Marshall ( cacciato dopo il secondo cd dei Creed per alcune dichiarazioni "pepate" contro Eddie Vedder dei Pearl Jam) iniziano a provare insieme ed a scrivere il materiale per un nuovo progetto: gli Alter Bridge.
Si arriva così al debutto degli Alter Bridge ossia "One Day Remains" disco che a neanche un anno dalla sua uscita è già disco d'oro negli Stati Uniti. Per spazzare il campo da ogni velleità occorre dire che qui dei Creed è rimasto ben poco; certo la poesia e le atmosfere malinconiche che hanno decretato il successo di questo gruppo fanno da perno alla musica degli Alter Bridge, ma allo stesso tempo lo spettro stilistico del quartetto è ampliato da influssi più heavy oltreche dal ricorso ad atmosfere e soluzioni assai variegate. Il primo nome che mi è saltato per la testa è Soundgarden: gli Alter Bridge infatti mi sono sembrati una riedizione più rockeggiante (ma dotata di propria personalità e originalità) degli ultimi Soundgarden, a cui vanno aggiunti sprazzi di Metallica sound che dà sempre fanno parte del background compositivo di Mark Tremonti. Ma va detto che altri nomi illustri ( Jeff Buckley, Tool, Alice In Chains) nel corso dell'ascolto saltano alla mente, proprio perchè gli Alter Bridge sono riusciti a creare una mistura sonora estremamente sfaccetata, ma allo stesso tempo di facile presa.
Merito di ciò va dato alla scrittura musicale del chitarrista Mark Tremonti che rispetto ai Creed mette in mostra in maniera maggiore la sua bravura solistica e non solo di accompagnamento ritmico, ma soprattutto al talento vocale di Myles Kennedy: un incrocio da brividi tra il Jeff Buckley più irruento e il Chris Cornell più suadente, capace di rendere grande ogni singola nota su cui poggia la sua voce. Senza dimenticare la solida e fantasiosa sezione ritmica formata dal duo Phillips-Marshall capace di finezze continue nel corso dei brani.
Tutti gli undici pezzi del disco risultano bellissimi e amplificati da una produzione perfetta, ma nel lotto segnalo la rocciosa opener "Find The Real", l'orgasmo poliritmico della title track, la struggente "Burn It Down" graziata da un Myles Kennedy stellare, la potentissima "Metalingus" (nota anche come la theme d'entrata del wrestler Edge) ed infine la mistica "The End Is Here".
Non c'è un pubblico a cui questo disco è indirizzato e qui sta la sua forza: gli Alter Bridge hanno creato un loro sound per modellare "semplicemente" delle bellissime canzoni che chiunque può apprezzare ed amare, questa è semplicemente buona musica come una volta la facevano i Creed ed i Mayfield Four, ma lasciatemelo dire gli Alter Bridge lo fanno decisamente meglio!
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