ALTER BRIDGE: AB III
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07/10/2010Finalmente dopo tre anni esce questo tanto atteso III: sarà la loro consacrazione, oppure la più cocente delle sconfitte? Più volte rimandato in primis per i dissidi tra la band e la Atlantic, risolti poi con l'accasamento con la Roadrunner, poi il tour di Slash che si è protratto oltremodo, facendo così rientrare tardi nei ranghi il cantante Myles Kennedy, il quale aveva rivolto i suoi servigi al riccioluto gunner inglese. Il full lenght è stato preceduto dal singolo “Isolation“, pezzo cupo, ma con una buona dose di melodia e struttura eccelsa, purtroppo l'unico veramente tirato del disco. Si parte comunque con "Slip To The Void", toni bassi e cupi si scorgono immediatamente, Creed e Alice In Chains sono forti presenze in questo brano. Bellissima la struttura di “Ghost Of The Days Gone By“, splendide aperture così come quella di "All Hope Is Gone". Si denota dai titoli l'aria che si respira: greve e pesante, i testi provocano la prescrizione di antidepressivi alla fine del disco. Il fattore vincente sono i brani in quanto tali (o almeno alcuni di essi), le melodie sempre intelligenti, alcuni assoli che sono davvero pregevoli. Ci si distacca tantissimo finalmente dai mid tempo con la ballata “Wonderful Life“, scontata, a tratti quasi banale, ma bellissima nel coinvolgimento a cui l'ascoltatore non può di certo sottrarsi, unica pecca è l'essere un po' troppo vicina a "Watch Over You" del precedente lavoro, 'Blackbird' del 2007. Ci si riprende subito con il potente riff di “I Know It Hurts“ con un chorus raffinato, qui Myles prende quasi i panni di Chris Cornell nelle intenzioni e colori che il brano richiede. “Breath Again“ ci fa tornare su una strada positiva e meno ossessivamente triste come gran parte del disco. Degna conclusione di quest'opera è riservata prima alla spendida ballad “Life Must Go On“ che è bellissima per costruzione e presa nel suo incedere e nell'esplodere in un ritornello da urlo, in special modo lo sarà sicuramente dal vivo. “Words Darker Than Their Wings“ mette "in allegria" la parola fine al tutto. Quattordici pezzi pesanti, moltissimi mid-tempo, belle ballad; al pensiero che l'edizione americana sia composta da sedici brani viene male. Hanno però superato l'esame i nostri quattro eroi di Orlando? In parte. Il prodotto è senza ombra di dubbio sopraffino, ben suonato e ben prodotto, i brani ci sono, la maturazione è completa, ma non è il caso di promuoverli a pieni voti perchè a volte si è troppo ripetitivi, troppo cupi, troppo negativi, insomma, il "che brutta la vita, la morte mi attanaglia, etc." sono cose grunge che si credevano morte da tempo. Inoltre, quattordici o sedici brani sono veramente troppi, con dieci o dodici sarebbe stato un quasi capolavoro, invece qui si è portati ogni tanto a skippare parte od interi brani, alla lunga risultano tutti uguali. Bello, ma con un po' troppe riserve.
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