THE BOOK OF SOULS: UN MESE DOPO: L'anti-recensione del nuovo album degli Iron Maiden
Un mese, oltre settecento ore, oltre quattromila minuti. Togliamo duecentoquaranta ore destinate al sonno. Il risultato è che -volendo- uno avrebbe potuto ascoltare The Book Of Souls almeno una volta al giorno, con picchi di tre volte nel periodo dell'uscita. Io l'ho fatto. L'avete fatto anche voi? Bene, vuol dire che non eravate nelle condizioni di giudicarlo OGGETTIVAMENTE nelle vostre recensioni. Non è una colpa, attenzione. Quanti sono gli haters dei Maiden e quanti sono i fan che per loro farebbero pazzie? Non c'è dubbio che la seconda categoria sia più nutrita. Ripensando al processo di preparazione all'ascolto (ricerca compulsiva del leak, acquisto del cofanetto e ascolti estasiati) ci rendiamo conto che una valutazione equilibrata era pressoché impossibile. Oltre agli amabili irrecuperabili che hanno tutti i singoli in vinile e a quelli che si attaccano ai gadget, ci sono tutti gli altri che sono cresciuti letteralmente con i loro album e che non hanno perso neanche stavolta l'abitudine di aggiungere un tassello alla loro crescita metallica e alla discografia dei Maiden.
È una questione di aspettative. Se poi qualcuno ha pagato fior di quattrini l'edizione limitata a occhi chiusi, come potete pensare che dopo qualche ascolto liquiderà l'album come deludente? Vorrebbe dire che ha buttato i suoi 25 euro nel cesso, cosa che il 90% delle persone che fanno le cose d'impulso non ammetterà mai. Steve Harris è oramai come il musicista della band della tua città, cui ti sei affezionato in modo incredibile: vai a tutti i concerti, dal garage al bar scalcagnato, la difendi a spada tratta in pubblico, poi quando torni a casa ti fai una lista delle cose da dire, prima o poi, a qualcuno di loro "il cantante ha stonato, sto pezzo fa schifo, il batterista non può fare tre assoli in un concerto di un'ora" e così via. Con gli Iron Maiden la lista abbiamo iniziato a scriverla da diversi anni. C'è chi gliel'ha sbattuta in faccia da tempo e chi continua a tenersela nel cassetto, facendo finta che non ci sia.
Partendo dal presupposto che la forza evocativa del fottutissimo sedicesimo disco degli Iron Maiden, che vi sia piaciuto o no, è ancora superiore a molta robetta che si trova in giro, che fa il verso a quello che Dickinson cantava nel 1985, The Book of Souls sarebbe più adatto a un quindicenne nei suoi primi passi metallici. Se fosse il mio primo cd della Vergine di Ferro, sarei ancora intontito per questi novanta minuti di epicità. Ma visto che non lo è, e visto che questi qui sono i più grandi di sempre, da loro un disco normale non lo voglio. Preferisco esaltarlo al massimo... O demolirlo in modo crudele per far risaltare in contrasto i gioielli indimenticabili del passato. Questi sono i due atteggiamenti riscontrati in giro nelle scorse settimane. Sono da poco si inizia a vedere un certo equilibrio. Parlando delle specifiche canzoni, di Shadow of The Valley e Man of Sorrows non riesco a ricordare nemmeno una nota, ma della seconda porto dietro un senso di fastidio per la poca orecchiabilità complessiva. Stesso discorso per il break di Empire of The Cloud, quello prima del riff à la Savatage che sarebbe dovuto essere la salvezza del brano e invece sembra fatto da un ragazzino impedito.
Apro una parentesi. Tre chitarre? Stiamo scherzando? Nei dischi storici anche con due si faceva molto di più, grazie a un lavoro eccelso in studio (viene in mente qualcosa da Powerslave, per esempio), ora è un continuo dividersi l'atomo, e cioé quel mezzo riff discreto che si riesce ad avere per brano. Ma a parte questo, volete dire che da die hard fan non vi infastidite per le "citazioni" (siamo buoni) di vecchi pezzi? Dai Maiden voglio il meglio, le cosette annacquate non sono da loro, a questo punto scelgo qualcosa dall'underground, che almeno è zozzo e brulicante, checché se ne dica. E allora non mi va che -come nel brano iniziale di Final Frontier- anche If Eternity Should Fail inizi con cacofonia/nenia tribale di Dickinson, non voglio che The Great Unknown segua la struttura base del pezzo tipo di Brave New World, non voglio che When The River Runs Deep sia l'ennesima vaccata ai danni del povero Blaze, che quella strofa l'aveva cantata meglio in Man on the Edge. Non voglio infine che The Red And The Black sia un incrocio povero di The Sign of The Cross e The Clansman. Eppure il mio essere fan mi ha fatto ascoltare tutto svariate volte, mi ha fatto divertire, mi ha gasato il riff di Speed of Light, chi l'avrebbe mai pensato? Peró quando dite che è il disco piú bello da Fear of the dark... Ecco, non dimenticate tutto questo, non fate finta di essere superpartes quando nel guardarvi allo specchio appare il ghigno di Eddie.
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