WHITE WIDDOW: White Widdow
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17/10/2010Quando si parla di Australia si pensa solo ad Ac/dc, Inxs e ad altri pochi artisti. Oggi c'è una scena molto attiva che produce nomi molto interessanti e tutti da seguire, ma non credevo che con questi White Widdow mi sarei trovato di fronte ad un prodotto che sembra un relic registrato negli anni '80 e mai pubblicato fino ad oggi. La band invece nasce nel 2008 e si professa come portabandiera dell'arena rock oramai scomparso prendendo le veci dei vari White Sister, Survivor e Dokken. Il disco ad onor del vero è un compromesso tra i Valentine, Giuffria, Danger Danger e Bad English. I pezzi sono ben strutturati e ottimamente bilanciati nelle tastiere di Xavier Millis e le chitarre di Enzo Almanzi (molto George Lynch). Il singer Jules ha molto del Paul Laine o Micth Malloy nella timbrica e nei colori della voce, insomma, si sono indubbiamente calati nella parte del genere di cui vogliono rendersi paladini e, dopo alcuni ascolti, si può affermare che il risultato è stato centrato appieno. Certo, il già sentito si rincorre per tutte le dieci tracce, ma in questo genere oramai non si scopre più nulla di originale: "Spirit Of Fire" sembra un tributo ai Treat, il finale di "Broken Hearts Won't Last Forever" è impietosamente niente altro che "Wings" dei Tyketto, "Shadows Of Love" sono le Heart dei tempi d'oro al maschile. E potrei andare avanti all'infinito nel torvare similitudini per i restanti pezzi di questo prodotto, ma rimane il piacere di assaporare queste atmosfere che sembravano perse, i ritornelli rimangono irrimediabilmente in testa e si sa già cosa aspettarsi da ogni riff, pre o bridge, ma forse è anche questo il bello: i nostri canguretti mettono di buon umore ed è splendido che ragazzi così giovani si dedichino così con passione verso un genere che quando era in auge loro non erano ancora nemmeno degli ectoplasmi. E poi, quale musicista non ha mai scopiazzato da qualcuno?
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