UNDEROATH: Ø (DISAMBIGUATION)
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04/11/2010Per gli Underoath l'ultimo anno è stato croce delizia. Dopo un'ascesa sempre più prepotente nel cementarli re del metalcore più emozionale e meno 'metal' (nonostante i trascorsiparlino chiaro), ecco come un fulmine a ciel sereno la dipartita del batterista Aaron, mente principale del gruppo e, soprattutto, voce pulita che rendeva gli Underoath non un melenso gruppetto per ragazzine, ma una band coi coglioni. Insomma, tra il fatto che un nuovo disco non ce lo aspettavamo così velocemente, tra il fatto che...non sapevamo cosa aspettarci, ecco qui questo 'Disambiguation'. Ero abbastanza titubante prima di ascoltare il platter, e devo dire che dopo decine e decine di ascolti lo sono ancora. Non perchè 'Disambiguation' sia un disco necessariamente brutto, poco riuscito, poco ispirato, o altro. Anzi. Però sembra quasi che gli Underoath non siano più la stessa band. Che sotto certi aspetti è anche vero, e aggiungo, meglio cambiare piuttosto che cercare di ritrovare i bei tempi andati fallendo miseramente. Il platter in realtà mostra degli aspetti che sanno ancora mettere gli Underoath "on the map", come "Catch Myself Catching Myself", "Paper Lung", o l'epica "Who Will Guard The Guardians", mentre altri episodi, pur magniloquenti, sono più incerti, come se i nostri dovessero ancora capire dove andare. Resta il fatto che, ci giriamo intorno, ma hanno tirato fuori un altro discone. Cambierò idea domani? Forse. Non cambia la cruda realtà dei fatti.
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