UADA: Cult of a Dying Sun
data
12/07/2018Gli statunitensi Uada, nonostante la provenienza geografica oltreoceano, sfoderano un’uscita che richiama a tratti la scuola europea. Parliamo, nello specifico, di Dissection e polacchi Mgla. Sound dinamico, dalle chitarre che pescano dal thrash metal in alcuni frangenti, aprendo poi a melodie a metà tra il black sinfonico e la scuola norvegese. Pennelate in stile Taake si possono ammirare nelle aperture e nel pathos delle suite più epiche dell’album. Certamente qui si parla di accenti, in un disco – il secondo della band - che sa affermarsi con forza propria. Il gioco di luci ed ombre in un paesaggio indubbiamente apocalittico, l’avvicendamento di voci più cupe e poi sibilanti, sono un intreccio a dir poco perfetto. Jake Superchi, per capacità ed alternanza di toni, ci rammenta lo stile dei Cradle of Filth, anche se il contesto dei Uada è più riflessivo e meno gotico nella gestualità. 'Cult of a Dying Sun' è l’immagine riflessa di una luna splendente, bufera incessante che miriamo da lontano sulla vetta di un monte ricco di storia e valore. Le variazioni sul tema principale proposte sono molteplici, poliedriche strutture sulle quali si stagliano prepotenti accelerazioni e solenni crescendo a cui vi potrete lasciar andare. Un dramma si consuma sotto una pioggia battente, sguardo mesto che racchiude delusione, ma che poi d’improvviso si desta in un bagliore d’infinita speranza. Rancore si tramuta in forza, dinamicità che viene magistralmente resa da chitarre graffianti, distorte ed, allo stesso tempo, precise. Il tappeto “battente” della batteria è costante che forgia i fantastici fregi intessuti dagli artisti, arabeschi di rara e preziosa fattura. Personalità, amore per la tradizione e qualità, sono i punti cardine per gli Uada. Ci auguriamo questo sia il secondo di una lunga serie di full-length da parte di un progetto da tenere sotto la lente d’ingrandimento per il futuro prossimo della scena black metal tutta.
Commenti