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TOWNSEND, DEVIN: Ocean Machine: Biomech

data

07/02/2011
80


Genere: Metal/ progressive/hard rock/ambient
Etichetta: HevyDevy
Distro:
Anno: 1997

L’esordio "a solo" di Devin Garret Townsend avviene sotto la sua etichetta HevyDevy, fondata per l’occasione dopo infruttuosi tentativi di accasare la sua musica presso altre etichette come la Roadrunner, e nello stesso anno d’uscita del seminale secondo lavoro dei suoi Strapping Young Lad: 'City'. All'epoca l’appena ventisettenne polistrumentista canadese poteva vantare una carriera di tutto rispetto nel music-businnes, esordendo ad appena diciannove anni prima con i Caustic Thought, una band locale, e in seguito con i Noisescapes. Il loro primo e unico album 'Promise' destò l’attenzione dell’axe-man Steve Vai e della Relativity che lo mise sotto contratto proprio per suonare con il funanbolico chitarrista americano nel controverso 'Sex And Religion' e nel successivo tour. E’ in questa maniera che il grande pubblico viene a conoscenza della straordinaria voce di Townsend. Capace di passare con estrema disinvoltura da feroci screaming a registri ultrapuliti e melodici, da vocalizzi di un'altezza impressionante alle note più basse, interpretando, o meglio, vivendo le canzoni sulla sua pelle, il nostro eroe consegna alla storia del rock il miglior album "cantato" di Vai. Noto al pubblico di appassionati dell'extreme metal, dalle forti concessioni all’industrial, per gli album con i SYL (i già citati Strapping Young Lad), che segnano un’importante tappa per il metal moderno, nel 1997 il vocalist decide di raccogliere le sue composizioni meno estreme composte già durante il tour con Steve Vai sotto l’ombrello di un nuovo progetto musicale targato Ocean Machine. 'Biomech' racchiude nelle sue tredici tracce già quasi tutto l’universo di Devin Townsend: il progressive e l’hard rock, la sua passione per la musica ambient (sfogata successivamente negli albums 'Devlab', 'Ki' e in porzioni dei suoi lavori successivi), sino alle concessioni più pop senza perdere mai d’occhio i risvolti estremi della sua vocalità. La parola d'ordine è 'apertura mentale' che si manifesta sin dall'opener, l'angoscia implacabile di "Seventh Wave", che è seguita dal pop rock da classifica di "Life", passando dalle tracce più ambient e minimaliste, come lo schitarrare acustico immerso nelle tastiere e nei suoni ambientali campionati di "Sister", ai riffoni e alle ritmiche marziali di "Regulator", dalla tristezza di "Funeral" alla rabbia di "Bastard" (vera e propria suite in due parti) sino alla perfetta fusione di potenza, durezza e melodia cristallizata nella lunga ed epica "The Death of Music". Gli oltre settanta minuti di 'Biomech' si chiudono con la lenta ballad "Thing Beyond Things" sigillata dall'urlo munchiano del cantante, quasi a voler figurarci l'emersione da quell'oceano di musica ad alta densità sonora di un lavoro che, a distanza di anni, è ancora un unicum nell'odierno panorama musicale talvolta asfittico e povero d'idee.

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