TENHI: VÄRE
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01/05/2003Mi trovo da solo a camminare in una serie si fronde basse e fitte...la nebbia mi avvolge e la sua umida consistenza mi penetra nelle ossa raggelandole. E' buio ma non nero...il grigio di un mattino che deve ancora nascere offusca i miei occhi e complica il mio cammino. Odo echi tenebrosi...la voce della foresta che mi circonda mi dice che ella stessa è viva. Uno specchio d'acqua illumina tetramente una vasta zona dove la foresta ha concesso spazio ad un immenso lago desolato. Solitudine, tristezza, rassegnazione...è questo che prova il mio animo vagando per questo labirinto naturale. Il silenzio è lievemente alterato da gelidi sospiri di un vento non invadente ma sottofondo del nulla. Una frenetica vita silenziosa...un sordo ronzio di morte. Passi pesanti e sempre più rapidi denunciano paura di niente e di tutto...ignaro di ciò che è e di ciò che non vedo ma sento. Pace, tranquillità...nella malinconia del mio spirito, giungo al termine del mio sogno che è solo l'inizio... Questo è solo un milionesimo delle sensazioni che si provano nell'ascoltare il secondo lavoro sulla lunga distanza dei norvegesi Tenhi. Questo "Väre" è un lavoro bellissimo e malinconicamente attraente ed accattivante. Attenzione, però, non è musica facile! Siamo di fronte a musica evoluta, essenziale, che si occupa del cuore e dell'anima. I Tenhi ci propongono un folk norvegese con tutte le caratteristiche giuste per descrivere le atmosfere rarefatte della propria terra d'origine. Come nella migliore scuola prog nordeuropea (vedi anche i Sinkadus), le composizioni sono dilatate ed il racconto è rigorosamente in lingua norvegese. Entrando nel dettaglio dei brani del disco, si nota che l'inizio è dei più eccellenti con composizioni acustiche/elettriche sempre discrete, malinconiche ed opprimenti, dove la delicata maestria esecutiva dei musicisti inietta nell'ambiente un clima del tutto magico. E', però, con "Vilja" che giungono i primi scossoni al substrato dell'epidermide, quando nell'incedere tristemente acustico della chitarra classica, arriva un maestoso break di flauto che fa irrimediabilmente accapponare la pelle. Da questo momento in poi e per tutta la parte centrale del disco, le emozioni si susseguono in modo esponenziale. Mentre i primi due pezzi del disco ci presentano atmosfere simil-doom che in alcuni tratti e per il particolare uso del violino, possono ricordare i My Dying Bride, la suddetta parte centrale dell'album si fa meno lenta e più vicina ad un dark melodico e più gotico. Chitarra acustica e piano si alternano nel dipingere i paesaggi asettici del Nord Europa, con la profonda tristezza e malinconia che questi infondono, ma c'è sempre posto per sporadiche cavalcate di flauto a ricordare che oltre la nebbia splende sempre un sole. Nella bellissima "Yötä" sembra di sentire Jan Anderson dei Jethro Tull sfidare il grigio della vita con un flauto sempre più in crescendo. A sottolineare ed enfatizzare l'alternanza degli stati d'animo, tutte le canzoni presentano dei piacevoli cambi di tempo, melodia e velocità. Come a voler paragonare simbolicamente l'intero arco di una giornata con la durata di un disco, all'inizio oscuro, seguito da una fase più dinamica, fa posto la parte conclusiva che chiude il discorso dirigendosi nuovamente verso un'oscurità opprimente, passando, però, con "Sutoi", da lidi maggiormente folk dove si percepisce un clima medievale fortemente ritmato con il basso in evidenza ed il solito flauto, che qui sembra addirittura arabeggiante. Nel progressismo diffuso in tutto il disco solo alcuni brani spiccano maggiormente per le loro caratteristiche marcatamente più vicine a territori prog più puri e la menzionata "Sutoi" con la successiva "Katve" (spagnoleggiante e molto Jethro Tull-oriented nell'uso del flauto) sono tra questi. L'album si chiude come detto in modo maggiormente oscuro con due canzoni la cui peculiarità è quella di infondere ossessione nell'ascoltatore. In effetti si tratta due canzoni un pò noiosette, lente e con la struttura di nenie acustiche dove i vari lamenti sono accompagnati da percussioni o chitarra. In conclusione, mi sento di consigliare l'ascolto di questi Tenhi targati 2002 ad un pubblico di mente aperta ed in grado di farsi affascinare e trasportare in un vortice di emozioni uniche. Come già detto, non è musica per tutti, soprattutto per quelli che si sentono metallari duri e puri.
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