SHINING: Animal
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05/11/2018Ho scoperto molto recentemente la discografia degli Shining che, a dispetto del banalissimo nome (esistono altre seicento band nel mondo con questo monicker), hanno proposto un’originalissima miscela di jazz, avant-garde e metal. Come spesso accade per band così sperimentali, la linea di confine tra l’essere originali e l’essere inascoltabili risulta sottilissima ed è facile passare da picchi di genialità a cose davvero inaccessibili per chiunque (avete presente i Fantomas di Mike Patton? Ecco). Nonostante tutto, mi ero avvicinato fiducioso a questo 'Animal', ma appena iniziato l’ascolto la mia prima esclamazione è stata: “Ma che roba è? Questi non sono gli Shining norvegesi, mi hanno passato quelli americani o indonesiani”. Allora guardo meglio e no, sono proprio quelli di Oslo. La seconda esclamazione, di conseguenza, è stata: “Che cazzo è successo?”. Con questo nuovo disco Jørgen Munkeby accantona il sax e tenta una virata commerciale francamente poco convincente, poco sincera e, soprattutto, poco ispirata. “Fight Song”, ad esempio, sembra un pezzo mediocre dei Muse. “End” sembra una canzone dei 30 Seconds To Mars. Il resto sembra una raccolta di b-side dei Nine Inch Nails, piatto, anonimo, scialbo, senza guizzi, senza sregolatezze. A darmi il colpo di grazia è il duetto con la pop singer norvegese Linnea Dale nella conclusiva ballad “Hole in the sky” (per un attimo avevo sperato si trattasse della cover del magnifico pezzo dei Black Sabbath). Un disco davvero brutto e deludente.
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