SETH: Apocrypha
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24/02/2017Probabilmente non tutti conosceranno il gruppo che andiamo a recensire, in effetti il loro precedente lavoro risale al lontano 1980 e dal quel momento in poi più nulla, il silenzio. Oggi, ben 36 anni dopo quell'esordio, i Seth partoriscono il successore di quel disco, Apocrypha, edito dalla blasonata Minotauro Records, portandosi dietro tutto il fascino visionario e immaginifico dell'Egitto dei grandi faraoni stampati in copertina. Visionario è proprio l'aggettivo adatto per definire la particolare proposta musicale di questo trio statunitense che si trova in bilico tra l'hard rock di scuola settantiana ed il prog-rock di matrice classica capace di donare delle interessanti sfumature di colore ai brani che compongono questo disco. La traccia di apertura è decisa nell'impatto, semplice nella struttura e dotata di un fascino malinconico trascinante che la fa scivolare lenta e dolce per i suoi quattro minuti circa di durata. Già in questo primo brano si colgono quegli elementi che caratterizzano il sound dei Seth, mi riferisco in particolar modo agli spunti prog-rock che si accavallano ai riff puramente hard rock di scuola americana e che si fanno più marcati in pezzi quali "Semaj", dalle sonorità quasi "proto-stoner" e la sincopata "Free World" che richiama quel sound hard rock a cavallo tra gli anni 70 e 80 e che ha fatto la fortuna di gruppi come i Van Halen. Ampio spazio all'interno del platter è lasciato inoltre alla produzione acustica con due ballad dal sapore romantico e dalle strutture lineari, ma non per questo scialbe o prive di spunti interessanti, che ci conducono su sentieri più vicini al folk, in particolar modo a quel tipo di folk rock melodico ad alto impatto emotivo come quello espresso in alcuni capitoli della discografia dei Led Zeppelin, pensiamo a "Going To California" da 'Led Zeppelin IV'. Ultimo capitolo di questo disco è costituito da una summa che rappresenta al meglio la piena essenza della band, racchiusa in una suite strumentale di 11 minuti che spazia tra stili diversi riuscendo a fonderli insieme in un discorso unitario. Si va dal ritrovato gusto per l'acustico, passando da un rapido intermezzo space rock con l'ausilio di synth, per approdare in dirittura d'arrivo su sonorità più vicine alla New Wave oh British Heavy Metal. Un disco che nel complesso riesce quindi ad accontentare diversi palati musicali e che non scontenterà di certo la schiera più oltranzista dell'hard rock.
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