NECROPHAGIST: EPITAPH
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08/08/2004Avevo ormai perso le tracce dei Necrophagist da qualche anno, da quando, per la precisione, il loro debut "Onset Of Putrefaction" finì sul mio scaffale; all'epoca la band era poco più di un one-man project, con parti di batteria nate da un computer. Mi fa piacere ora vedere il gruppo di Muhammed Suiçmez accasatosi con merito alla Relapse, visti i notevoli miglioramenti compiuti in questi cinque anni. Alla base della proposta musicale del quartetto teutonico c'è un death metal abbastanza personale, ricco di sfumature interessanti e colorito da una valanga di riff davvero ispirati... e il tutto accade il più delle volte ad una velocità mostruosa. Apre l'album la breve ma vincente "Stabwound", in cui i ritmi serrati dettati dal drumming di Grossmann cedono spesso il passo ad inaspettate aperture melodiche che spezzano un po' la frenesia esecutiva del gruppo. I ritmi sembrano rallentare (ma non troppo), facendosi più oscuri, con la seguente "The Stillborn One" che si fa notare per un refrain soffocante ed alcuni solos che lasciano il segno. La title track, l'ennesima cascata di riff in cui tutto sembra funzionare alla perfezione, si rivela uno dei brani migliori del lotto. Anche il growling del leader Suiçmez, che magari in altre occasioni risulta eccessivamente impastato, qui supporta il tutto con la giusta incisività. In tutto otto brani, per poco più di mezz'ora di death metal tecnico, ottimamente curato e prodotto, che tra accelerazioni fulminanti e monolitiche strutture ritmiche, riesce a mostrare buone idee e la volontà di creare qualcosa di nuovo e personale. E in un sottogenere dal profilo evolutivo piuttosto piatto, ciò non è una cosa da poco.
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