MANOWAR: WARRIORS OF THE WORLD
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19/06/2003L'attesissimo ritorno sulle scene dei Kings of Metal dopo sei anni di inattività costellati di live, raccolte e quant'altro, era caricato di responsabilità a dir poco soverchianti: riuscire a far dimenticare il fiasco di Louder than Hell non era impresa da poco, e un tempo di stasi così lungo doveva essere ampiamente ripagato. Certo, aspettarsi un nuovo Into Glory Ride sarebbe stato davvero troppo, e questo era chiaro… così tutti noi manowar fans ci siamo fiondati nel giugno 2002 a comprare ad occhi chiusi questo nuovo lavoro della nostra band preferita… con entusiasmo intensissimo purtroppo non pienamente ripagato. Se infatti l'inizio di "Call to Arms" risuona epicamente come una vera e propria dichiarazione d'intenti, l'autocitazione di "Blood of my Enemies" contenuta nel riff iniziale rimane un'autocitazione, seppur graditissima… e in generale, il disco non aggiunge nulla di nuovo. Poco male, d'altronde cos'altro aspettarsi da una band che ha comunque già scritto la sua parte di storia? Quello che non convince è l'incredibile quantità di ballad e canzoni non esattamente "manowar" contenute nel disco. Dopo la belligerante opener infatti, fino alla settima canzone non c'è neanche l'ombra dell'heavy metal… il che non sarebbe un male se le varie ballad fossero sufficientemente belle, purtroppo non sempre è così. "Fight for Freedom" è piuttosto stanca, "An American Trilogy", cover di Elvis, è senza dubbio sentita ma scarsamente funzionale, mentre "The March" è un intermezzo sinfonico completamente inutile. L'arcinota versione di "Nessun Dorma" è comunque un episodio graditissimo pur non essendo certo un brano metal, e degna di rilievo per lo strepitoso Eric Adams che fuga ogni dubbio sui "cali" presunti della sua voce (purtroppo dubbi che sono tornati a farsi sentire dal vivo), mentre "Swords in the Wind" è un episodio decisamente bello in cui i nostri sembrano addirittura rievocare certe sonorità epic perdute ormai da tempo. A spezzare la parte melodica da quella propriamente metallica del disco c'è il brano giù uscito come singolo, quella "Warriors of the World United" destinata a diventare un vero inno in sede live e che obiettivamente nella sua semplicità è una canzone che funziona alla grande, anthemica e coinvolgente. Dopodichè, le tanto attese canzoni propriamente heavy metal, e altra triste delusione. Plagio, plagio ovunque, autocitazioni a manetta per tre brani assolutamente identici e fintissimi nella loro incessante doppia cassa e nei loro riff elementari e già sentiti mille volte, sostenuti solo dalla buona prova di Eric, e a dire il vero in crescendo, visto che la conclusiva "Fight Until We Die", insieme all'opener e alla title track, risulta uno degli episodi più riusciti del disco, ma a parte questo, tanto, tantissimo fumo e niente arrosto. Insomma, ancora una volta, i Manowar fanno rimpiangere il loro passato con un disco prevedibile e scontato, senza dubbio meglio riuscito del precedente Louder than Hell ma con parecchi difetti che ancora si strascicano. Appena sufficiente per il deciso miglioramento compositivo e per la potenza apprezzabile di alcune canzoni, che se prese per il verso giusto sono davvero belle. Peccato che tutto ciò non faccia a onore alla reputazione dei Re del Metallo, ma tant'è…
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