MANOWAR: KINGS OF METAL
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15/10/2003Già il precedente lavoro, "Fighting the World", aveva mostrato ai fan dei Manowar un'altra faccia della loro band preferita. Ed era impensabile un ritorno all'epic del passato. Inoltre, la crociata contro il false metal era iniziata in maniera molto più spregiudicata, e i Manowar stavano iniziando a raccogliere sempre più consensi grazie all'"ammorbidimento" del sound, che comunque i fan più intransigenti avevano ritenuto eccessivo. Era chiaro dunque, che il successore del discusso disco sarebbe stato un lavoro che avrebbe proclamato lo status incontestabile dei Manowar, quello di "Kings of Metal". Ed era altresì chiaro che la musica avrebbe subito un ritorno alla pesantezza del passato, ma con una consapevolezza decisamente più moderna. E, come vedremo, sarà proprio questo il punto debole del disco. La prima cosa che salta alle orecchie è il sound: patinato, perfetto, precisissimo, impeccabile. Una batteria digitale e terribilmente "finta", una voce spesso effettata, chitarre compatte come mai lo erano state… insomma, la "pulizia" dello sporchissimo Manowar sound d'annata è completa, manowar sound che è solo un ricordo, così come anche il passato epic della band. La velocissima "Wheels of Fire" ci fa infatti subito capire quale sarà la strada intrapresa dai neoincoronati Re del Metallo: un heavy metal veloce, diretto e giocato su melodie sempre vincenti ma alla lunga abbastanza ovvie. Riff semplici, assoli di basso e chitarra, e i virtuosismi sempre eccezionali del singer Eric Adams, condiscono la ricetta di un metal d'impatto che però perde tutta la sua evocatività, relegata a quelli che sono gli episodi migliori del disco: l'esaltante power-ballad "Heart of Steel" e soprattutto "The Crown and the Ring", quest'ultima un brano davvero incredibile che sembra venuto fuori da un'altra epoca. Forse il brano più epico mai scritto da un gruppo metal, con il coro di 100 elementi a sostenere l'incredibile prestazione di Eric. Altro episodio di rilievo, l'ormai arcinota "Hail and Kill", uno dei pochi brani che funzionano veramente con il nuovo stile. Purtroppo non bastano tre canzoni per tenere su un disco che, con brani come "Kings of Metal", "Blood of the Kings" o "Kingdom Come" risulta davvero stanco e banale. Per carità, le melodie funzionano, ma sono concepite in maniera troppo "usa e getta" per rimanere nel cuore come quelle dei lavori precedenti. Non c'è una canzone che possa rivaleggiare per potenza e irruenza metallica con una qualsiasi "Thor" o "Gloves of Metal", c'è solo un heavy/speed ben fatto, molto coinvolgente, ma purtroppo povero di spirito e di idee. Ah, so che magari state inorridendo davanti a questa recensione, ma chi scrive è uno che i Manowar li adora in ogni più piccola sfaccettatura, e proprio per questo da loro si aspetta dischi della potenza di Hail to England e Into Glory Ride. Poi magari questo è un ottimo disco di "normale" heavy metal, ma fin troppo normale, privo dell'incomprabile potenza dei vecchi lavorii. Death to False Metal, ora e sempre, va bene... se vogliamo essere buoni, c'è infatti un merito di "Kings of Metal", ovvero quello di essere un tentativo di ammodernamento del sound ben consapevole e soprattutto inequivocabilmente metal, e in fin dei conti per chi questa musica la vive col cuore i Manowar rimangono un must. Peccato che questo nuovo corso lasci fin troppo rimpiangere il glorioso passato.
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