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KILL DEVIL HILL: KILL DEVIL HILL

data

23/05/2012
74


Genere: Hard'n'Heavy
Etichetta: SPV/Steamhammer
Distro: Audioglobe
Anno: 2012

I Kill Devil Hill sono un progetto che vede coinvoliti Rex Brown, ex-bassista dei Pantera, poi nei Down, Vinny Appice, che tutti conosceranno come batterista storico dei Dio e Black Sabbath/Heaven And Hell, Mark Zavon alla chitarra (ex Ratt e per un breve periodo alla corte di Black Lawless nei Wasp), ed il semi-sconosciuto Dewey Bragg (Pissing Razors) alla voce. La loro proposta è un hard'n'heavy classico che non cerca mai il colpo sensazionale, quindi brani strutturati nella tradizionale forma canzone, sezione ritmica in bella mostra - anche se pecca colpevolmente della sistematica, atavica staticità targata Vinnie Appice - chitarra satura e sporca che ricama riff dal gusto marcatamente blues, e la voce di Bragg che rappresenta la vera sorpresa dell'album vista la sua potenza e l'espressvità che in più di un'occasione ricorda quella di Ronnie James Dio. Questo insieme di elementi dà vita ad un album che inevitabilmente rispecchia le precedenti esperienze dei singoli musicisti, soprattutto per quanto concerne la base ritmica dato che le canzoni procedono con passo cadenzato, a volte lento e funebre, in altre con accelerazioni e stacchi. Ma l'essenza di 'Kill Devil Hill' è data certamente dall'atmosfera che i brani vanno a modellare, cosi misteriosa e di pari passo sciamanica che rimanda a quanto già il southern ed il blues hanno saputo creare e dispensare nel corso della storia. Non manca qualche passaggio più groove ed attuale, ma nel complesso è più evidente la mancanza di quei due-tre brani che potrebbero fare la differenza. Resta il fatto che il progetto ha basi solide ed un'amalgama fuori dal comune, virtù che ci inducono a pensare che la band non è nata all'improvviso, e non si è affacciata alla svelta nel music business solo per la risonanza dei nomi illustri che la compongono. C'è un gran lavoro dietro al monicker e si sente, i brani si lasciano apprezzare e non si avverte odore di filler. Peccato per la mancanza di hit e per quella strana sensazione - pur non marcata - che affiora a disco finito quando si avverte tanta professionalità e mestiere e poca passione. Orrendo l'artwork di copertina.

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