KEEL: THE RIGHT TO ROCK - 25TH ANNIVERSARY EDITION
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01/02/2010Ronnie Keel è una testa di cazzo. Nonché autolesionista: una voce ed un talento sprecati a causa di una totale "confusione mentale" che lo ha visto andare, tornare, un passo a destra, uno a sinistra, all'interno ed all'esterno del panorama hard e derivati, lo ha visto accreditato come composer di colonne sonore di film (Men In Black II, D.A.R.Y.L.) e serial tv (Sex And The City, X-Files, General Hospital), miriadi di progetti paralleli nati e morti nel giro di un album (Fair Game, Saber Tiger, The Rat'lers, Iron Horse), e non per ultima la sua carriera solista da artista dedito alla country music sotto il real name Ronnie Lee Keel. Se consideriamo anche il suo inizio carriera con gli Steeler al fianco di Yngwie Malmsteen (da non confondere con gli omonimi Steeler tedeschi, band madre di Axel Rudi Pell), e soprattutto dopo essere stato al soldo di Tony "Mr. Riffman" Iommi e dei suoi Sabbath in un breve lasso di tempo (6 mesi a cavallo tra 1984 ed il 1985), beatamente possiamo ridefinirlo una testa di cazzo. Perché? Perché quello che gli riesce meglio (hard rock) non sa più suonarlo (peggio, forse, non vuole) con l'effettivo entusiasmo ed la fottuta straight ahead attitude di una volta. Ed ascoltando ogni volta "The Right To Rock" aleggia sempre più in me il desiderio di tirargli un calcio nei coglioni. Si, la sua inconfondibile timbrica spaccavetro ed il "diritto di rockare", oggi, vanno a farsi benedire. Per fortuna il kicking up my ass subito ascoltandolo ancora mi "duole", e mi piace ricordare Ron per quello che è stato. Questo disco è uno dei migliori dischi di hard americano usciti negli '80, grezzo, sporco, selvaggio ed accattivante allo stesso modo. Lo stile è quello classico ma personalizzato. Immaginate gli AC/DC con una resa sonora tre volte più pesante, più incazzati e meno patinati, la sfrontatezza dello street/glam dell'epoca e melodie di facile assimilazione ed otterrete il sound definitivo catturato in TRTR. Poi, impossibile non soffermarsi sulla voce di Ron, roca, sguaiata, squillante, che trasmette tanta di quella energia da tenere su una centrale elettrica (nel caso di quelle italiane basterebbe uno squittio di un topo). Coadiuvato alla grande, inoltre, dalle due chitarre, soprattutto dal buon Marc Ferrari(nei Medicine Wheel dopo lo split ed in seguito con Marc Ferrari & Friends), ottimo solista e songwriter(contribuirà a rendere più melodici e morbidi i successivi e sufficienti dischi). Ma nonostante tutto, Ron Keel continua ad essere una testa di cazzo. Lecite le sue scelte, per carità, ma spesso porsi dei limiti costituisce la più grande libertà cui un uomo possa godere.
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