JETHRO TULL: RökFlöte
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29/04/2023E’ una voce femminile, tra sospiri ed affanni, ad aprire e chiudere il ritorno di Ian Anderson, il folletto dalle naturali orecchie a punta, con ‘RökFlöte’. Una curiosa e personale ricerca sulla provenienza del suo cognome ha determinato la scelta del tema di questo nuovo album, purtroppo ancora siglato in copertina Jethro Tull e non semplicemente The Ian Anderson Group (in questo la nostra torinese band Falloppio S.R.L. ha molto da insegnarci). Anderson, tramutato in Andersson e Andersen, nomi differenti, ma simili, entrambi discendenti dalla penisola scandinava. Curiosità che portano Ian ad affezionarsi allo studio de L’Edda Poetica, la più ampia raccolta di poemi medievali islandesi, scritti in norreno (lingua scandinava diffusa in Norvegia, Svezia, Danimarca e Regno Unito con diverse sfumature), che tratta della mitologia nordica: i miti della religione pre-cristiana dei popoli germanici. La veggente (nella voce di Unnur Birna) viene convocata da Odino (personificazione del sacro o totalmente Altro) per raccontare la nascita del mondo (nella prima traccia “Voluspo”) e la sua fine (nell’ultima traccia “Ithavoll”). Per i più appassionati di mitologia ho citato tra parentesi il Dio mitologico scelto da Ian per ogni traccia del suo racconto musicale. Ma ora (a modo mio) argomentiamo di musica, senza accennare al passato di Jethro Tull (persiste la malinconia da Martin Barre), ma piuttosto al pregresso di The Ian Anderson Group (‘The Zealot Gene’, 2022), che avevo definito come “una parentesi piuttosto che un ritorno dopo 19 anni”. ‘RökFlöte’ è un progetto affetto da atonia, piatto, fiacco, senza muscoli, apatico. E’ come un disegno tecnico muto! Sono stati definiti i temi oggetto della tavola, ma poi sono necessari i cosiddetti dettagli, i vari particolari in diverse scale, le indicazioni delle misure, delle quote, le indicazioni testuali sui materiali, eventuali schemi tridimensionali, foto, e alla base uno studio della composizione di tutti gli spazi della tavola, con abbellimenti e resa realistica con retini e colori. Il tema è partire da un giro di flauto folk (soprano, tenore, irlandese), per poi farsi seguire da tutti gli strumenti, in tempi semplici, e purtroppo senza farsi scomodare da arresti, cambi repentini, e con lievi accellerazioni che spesso diventano un noioso loop ripetitivo in tutto il concept album. Musicalmente si riallaccia al precedente ‘The Zealot Gene’, ripulendolo ancora di armonica e arpeggi acustici incisivi; il sapore folkloristico non compensa tutto il resto, ed i riff di chitarra elettrica non valorizzano il tratto stilistico della band (spesso gli arrangiamenti risultano timidi). Ma ciò che traballa è proprio l’atmosfera: la musica non collima con il tema, non è credibile, non è abbastanza suggestiva, perché non si amalgama con il cupo grigiore del sound nordico: il rock progressive nei paesi scandinavi (Kaipa, Burning Red Ivanhoe, Jupipher Greene, Wigwam, etc). Difficile far riaffiorare il sound storico di matrice inglese di King Crimson, Genesis, Yes, Jethro Tull, su territori nordici; equilibrio egregiamente realizzato dagli svedesi Änglagård. Se siete affetti da curiosità, provate ad ascoltare la traccia “Jordrök” (‘Hybris’, 1992); l’amore per gli anni ’70, l’amore per la propria terra, collima in una tavola grafica che parla (oltretutto solo strumentale), dove già solo il differenziare i livelli sonori di ogni strumento (evita il piattume), dove strumenti come basso e batteria sono creatori di atmosfere grezze, dure, con cambi repentini, e dove l’acustica, mellotron ed il flauto creano atmosfere sinfoniche e poetiche. A voi ora l’ascolto ed il giudizio di ‘RökFlöte’.
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