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JETHRO TULL: The Zealot Gene

data

28/01/2022
70


Genere: Prog Rock, Folk Rock
Etichetta: InsideOut Music
Distro:
Anno: 2022

E’ una parentesi ‘The Zealot Gene’ più che un ritorno dopo 19 anni. Ha lo scopo di raccontare la realtà del tempo con un ulteriore strumento musicale, La Bibbia, lo scritto atemporale a cui già Pasolini e De Andrè hanno attinto in passato per loro creazioni. E Ian Anderson, il folletto dalle naturali orecchie a punta, costruisce parallelismi musicali con il libro “sacro”, con occhio critico e rispettoso. L'artwork sembra un’immagine di Olocausto: in bianco e nero, una forte luce illumina metà viso di Ian, oggi una sorta di Ben Kingsley (Stern il contabile) dallo sguardo penetrante, probabilmente nudo, spoglio su uno sfondo di parole retroilluminate. Concept album prevalentemente folk, molto acustico, con fiati sempre magici e con una componente vocale intesa più come “voce narrante” che “voce cantante”. Concettualmente affine, se vogliamo, al recente progetto della PFM ‘I Dreamed Of Electric Sheep’. Gli arpeggi di chitarra/mandolino, il vibrato della fisarmonica, sono momenti molto aulici del disco, ma l’apice a mio giudizio è raggiunto con l’eleganza e la raffinatezza della melodia di "The Betrayal Of Joshua Kynde". Ovviamente, questo pensiero non può essere condiviso se non ci si concede un ascolto nella sua interezza in quanto progetto musicale riuscito a pieno, nel suo intento di “album progressivo”. Ho provato una certa malinconia dalle sei corde di Martin Barre (probabilmente impegnato nel suo progetto solista nel periodo di nascita di questo progetto musicale). La spina dorsale del concept è un telaio di “emozioni reinterpretate”. La prima “l’amore materno”: con "Mrs Tibbets". Tappeti ronzosi di tastiera del tipo Argent (1974 ‘Nexus’) ed un riff di chitarra continuativo, un già sentito, ma che collima bene con il senso della traccia che sembra racconti la storia della signora Tibbets, madre del colonnello Paul, che sganciò la bomba su Hiroshima (Paga il riscatto e non guardarti indietro), in un sound che mi rimanda ai Deep Purple di ‘Whoosh!’. Una intro dal volume potentissimo e luminoso per il sentimento “amore fraterno” (Esaù e Giacobbe), e scusate per il collegamento nostrano, ma è un mix tra il nostro E. Bennato, nella sua forma più autentica, con la sua filosofia sull’armonica ed i geniali arpeggi del controllato capricorno Jimmy Page. Note malinconiche di piano in "Mine Is The Mountain" mi ricordano qualcosa di molto bello e famoso, ma non riesco a mettere a fuoco il ricordo; il piano è “l’amore spirituale” e le progressioni di flauto rappresentano l’idolatria alla devozione fanatica, contrasti musicali! La title track sembra una marcia sulle ingiustizie, massacri e usurpazioni. “Amore erotico” in "Shoshana Sleeping", il Cantico dei Cantici, con intrecci di flauto e riff di chitarra da filastrocca musicale, in cui il blues che si mescola con l’oriente (dita che scrivono un percorso lungo la schiena di lei). Ancora arpeggi folk e straconditi seventy Led Zeppelin in "Sad City Sisters". "Barren Beth, Wild Desert John" apre le porte al Nuovo Testamento: è la potenza dell’artista Ian Anderson, onnipresente nel fischiato, nel racconto e nell’eco della seconda voce, che regala una composizione dal “sapore F. De Andrè”, per inscenare la gioia che può portare il sussulto di un feto (Giovanni) nel grembo di una donna (Elisabetta) ai presenti (Maria). Eleganza, raffinatezza da Gentle Giant (1974 ‘Aspirations’) nell’ensemble di partizioni per rappresentare il sentimento del “tradimento” nell’ottava traccia: il tono di voce rispettoso, il tappeto di piano, svolte della melodia con il flauto e l’assolo di chitarra elettrica rendono questo, come il prezzo più distinto, di tutto il concept album. La seconda parte del disco, dedita ai Vangeli (Luca, Matteo, Giovanni e Atti), musicalmente fa capire di essere ormai nel cuore del discorso del folletto, che punzecchia l’ascoltatore a smuoversi dal proprio intorno e cerca di risvegliare un confronto con un tesoro prezioso, di inesauribile ricchezza: vita, musica al ritmo della parola di Dio. Sicuramente è un lavoro che potrà ottenere un maggior apprezzamento nei live, perché già pensato per essere impreziosito con ulteriori arrangiamenti da sessione da palchi di teatri. Ed ora, fastidiosa come lui, vi metto una pulce nell’orecchio: sareste pronti per una collaborazione musicale Ian Anderson/Bruce Dickinson?

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