GRAVE DIGGER: THE LAST SUPPER
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31/01/2005I Grave Digger decidono di interrompere il cammino intrapreso verso quella che sarebbe dovuta essere la loro prima trilogia, e con un lavoro eseguito in tempo record (tra luglio e settembre) scrivono e incidono "The Last Supper", album particolare non solo in quanto interrompe la fortunata catena di concept della formazione tedesca, ma anche perchè segna un passo indietro verso il "vecchio" stile del gruppo, pur senza rinnegare i cambiamenti degli ultimi anni. Se infatti viene recuperata la potenza dei tempi di "Heart Of Darkness" e "The Reaper", anche le atmosfere scoperte da "The Grave Digger" in poi non vengono scartate, ma integrate in questo nuovo capitolo della storia di Boltendhal & co., soprattutto grazie a Katzenburg, che rinuncia alle sue scorribande sinfoniche per tornare a costituire, se non più lo scheletro dei pezzi, almeno la loro pigmentazione. Non un concept, si diceva, ma anche questo non è del tutto esatto: Chris e soci, infatti, consacrano il songwriting dell'album alla metafora dell'Ultima Cena, intesa non in senso puramente evangelico, quanto piuttosto nel senso più umano di un Gesù Cristo che, lasciato solo, sa che deve morire, che tutto gli sta crollando addosso, ha paura, soffre. "Ci sono una quantità di Ultime Cene ogni giorno in tutto il mondo, e se non ce ne parlano i media, non lo sappiamo" è il messaggio. Così, tra le metafore di cui le lyrics sono piene, leggiamo della Somalia, del Rwanda, di tante tragedie di cui non sappiamo altro se non quello che ci è stato detto per qualche giorno dai telegiornali. Non si tema, comunque, un album politico: l'intento non è la propaganda, ma la presa di coscienza. Per quanto riguarda l'impatto, lascia un po' perplessi la scelta di un intro ("Passion") di un minuto e venti secondi, puramente di atmosfera: l'inizio musicale vero e proprio dell'album è infatti la title-track, un classico pezzo alla Grave Digger, scandito, ben ritmato, dal chorus coinvolgente e dalle linee melodiche cupe ed abbastanza semplici. Dopodiché, i brani sono le classiche "tirate" dei tedeschi, contrassegnate da quello stile così facilmente riconoscibile, immediato, che da sempre è un marchio di fabbrica per Chris e i suoi. Schmidt è impeccabile come sempre, tagliente ed essenziale, Becker gioca tra tirate e linee melodiche più dolci, Arnold, come sempre, crea una cornice ritmica travolgente eppur semplice, dosando la doppia cassa con macinata maestria. Boltendhal, dal canto suo, sembra non essere stato così in forma da parecchio tempo. Il risultato è eccellente, un album degno dei migliori Grave Digger, che raggiunge forse il suo apice con la splendida "Crucified", pezzo struggente che ricorda l'umanità di Cristo come interpretata da Webber in "Jesus Christ Superstar", nella scena del Gehetsemani, riprendendo ancora il concetto di fondo di tutto l'album: "Father tell me what went wrong My whole life my Faith was strong Father tell me why should I die The screaming mob yells crucify My curse comes through I have to die Why I am crucified?" "Padre, dimmi cos'è andato storto/ per tutta la vita la mia fede è stata forte/ Padre dimmi perchè dovrei morire/ la folla urlante grida "crocifiggilo"/ la mia maledizione si avvera, devo morire/ Perchè vengo crocifisso?"
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