DRAGONFORCE: INHUMAN RAMPAGE
data
14/01/2006Ritornano alla carica i paladini dello Speed Power per eccellenza, gli inglesi Dragonforce, che dopo aver stupito con i virtuosismi al fulmicotone di “Sonic Firestorm” tentano di far nuovamente scalpore con un album il cui titolo lascia poco spazio all’immaginazione: “Inhuman Rampage”. Ed in effetti mai titolo fu più adatto. Se con il precedente disco sembrava si fosse raggiunto il limite umano di sopportazione di certe ritmiche e velocità con questo nuovo lavoro la band raggiunge risultati inimmaginabili. Una cavalcata infernale che dura ben cinquanta minuti (ballad esclusa) nei quali lo sfoggio delle doti tecniche è assolutamente impareggiabile. Non farei molta fatica a credere che il drummer Mackintosh non esista e sia in realtà una drum machine, ma tant’è che quest’uomo esiste veramente e suona al limite senza mai un attimo di sosta lasciandomi a bocca aperta come non mai. E non è il solo a stupire, non dimentichiamoci del funambolico Herman Li e del compare Sam Totman i cui duetti con le chitarre, supportate da Vadim Pruzhanov alle tastiere che si ritaglia qualche spazio in più rispetto al passato, si svolgono a velocità folli e mirano alla sperimentazione e all’inserimento di nuovi suoni ed effetti. Ma non tutto è oro quel che luccica. E’ pur vero che cotanto sfoggio di tecnica farebbe impallidire i più grandi artisti del settore ma è altrettanto vero che la miscela proposta dai Dragonforce ha un originalità che rasenta lo zero Kelvin. Lo stupore iniziale e l’energia trasmessa dai pezzi in apertura, in particolare da “Revolution Deathsquad”, va mano a mano sfumando con il passare dei minuti. La sensazione di piattezza che si assapora è dovuta ad un songwriting piuttosto povero che basa ogni brano sulla stessa struttura che propone ben poche varianti. Di mezzo ci si mette il bravo ZP Theart, che reputo dotato di una grandissima voce ed in grado di raggiungere note tabù per molti altri singer, che si districa tra le stesse linee melodiche e propone ben poche varianti che possano suscitare interesse. A conclusione di ciò troviamo “Trail Of Broken Hearts” , una delle ballad meno ispirate di sempre il cui ritornello mi pare faccia l’eco alla bella “Dawn Over A New World” contenuta su precedente “Sonic Firestorm”. Stendendo un velo pietoso sui contenuti dei testi non mi rimane che concludere questa recensione con l’amaro in bocca. I beniamini d’Inghilterra hanno qualità e classe da vendere ma oltre che a far vezzo delle proprie qualità dovrebbero prendere in considerazione l’idea di fornire al pubblico un prodotto avvincente ed in grado di trasmettere qualcosa oltre ad una massiccia dose di stupore. A parer mio un passo indietro rispetto al precedente album che però farà la gioia degli amanti dei virtuosismi senza troppi compromessi.
Commenti