DOKKEN: Heaven Comes Down
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28/10/2023Ed eccoci a parlare del Disco dell’anno...in termini di curiosità, quanto meno nella top five. In termini di qualità, invece, ma andiamo con ordine. Quando si parla dei Dokken il nostro ricordo si trascina ai big 80’s e al prodigio tecnico e melodico di George Lynch, cosi come quando pensiamo al (class) metal degli anni 80 un pensiero più o meno incisivo viene dedicato al gruppo di Don, supportato da George, Jeff (Pilson) e Mick (Brown). Eppure l’uscita di ‘Heaven Comes Down’, presumibile epitaffio musicale di questo glorioso moniker, rappresenta la tredicesima fatica di inediti; è dal 1997 che la classic line-up si è sciolta (salvo una manciata di remunerativi live e una canzone inedita), dal pessimo ‘Shadowlife’ che fu il sesto disco in studio. Di anni e di musica ne sono passati in questo quarto di secolo, cosi come l’alternanza di musicisti a completare la formazione in studio e in sede live. Idoneo ricordare il periodo di diamante (devo davvero nominare i 3 migliori dischi ? periodo ‘84-‘87). Coerente aggiungere che da ‘Back For The Attack’ in poi la qualità è stata oscillante come fosse legata a un moto sinusoidale: ‘Erase The Slate’ (1999) nella sua essenza maggiormente Metal è ancor oggi un ottimo disco. Cosi come rimasi sorpreso dall’inaspettato ritorno al classic sound di ‘Lighting Strikes Again’ (2008). Non posso spendere parole d’encomio per il controverso tentativo di dare un colpo al cerchio e uno alla botte di ‘Dysfunctional’ (1995) o per l’assolutamente poco ispirato ‘Broken Bones’ (2012). Artisticamente, tra lavori opinabili/discutibili, ottimi, carenti, Don arriva ad aver compiuto 70 anni e a provare a dire ancora qualcosa in spartito affiancato dal fido Jon Levin alla sei corde e accompagnato da una sezione ritmica nuova ma di assoluto rodaggio ed esperienza come Chris McCarvill al basso e BJ Zampa alla batteria. “Fugitive” apre le danze: risulta essere un tentativo vincente di riportare alla mente i fasti di 40 anni fa. L’arpeggio iniziale, il riff di lynchiana memoria. Levin ha assorbito, metabolizzato e fatto suo, tempo addietro, il riffing style del Lynch che fu; ”Gypsy” è aggressiva, conturbante. “Is It Me or You?” è un mid tempo nella struttura armonica figlio della Los Angeles che fu, reso oscuro dal tono delle chitarre e dal cantato di Don. La scontata ”Saving Grace”, ricorda le ultime produzioni degli LA Guns, pur poggiando su un buon ritornello, non decolla. Intermittente il feeling di “Lost in You” che bilancia un ottimo arrangiamento e un lodevole operato alla sezione ritmica con una linea vocale debole. Capitolo ballad: “I Remember” è la meno riuscita, assolutamente insufficiente. Una brutta copia, senza esserne il suo rifacimento, della sua omonima presente nel disco ‘Lighting Strikes Again’ (che invece è un ottima ballad). “I’ll Never Give Up” discreta, ricorda per struttura la vecchia “Walk Away”. Ho apprezzato “Santa Fe” nel suo incidere acustico e sudista; semplice, intima e introspettiva. ‘Heaven Comes Down’ poggia sulle capacità di Levin, il quale mostra per l’ennesima volta il suo indubbio valore di axeman. Tutti noi conosciamo lo stato attuale della voce di Don, e lo possiamo percepire nonostante i trucchetti di studio applicabili ed applicati. Il songwriting rimane confutabile; in undici anni, nel tentativo sin dal titolo di rianimare il “class” sound, era lecito aspettarsi qualcosa di più icastico. Al di là delle sensazioni provate durante e dopo l’airplay, grazie Don per quello che la tua musica ha rappresentato in questi 40 e passa anni.
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