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DEATHLESS LEGACY: Rituals Of Black Magic

data

12/01/2018
75


Genere: Horror Metal, Symphonic-Power Metal
Etichetta: Scarlet Records
Distro: Audioglobe
Anno: 2017

Forse non esiste contesto più misterioso e con più scheletri nell’armadio della Sacra Romana Chiesa. Quello che la letteratura e i vari mass media ci hanno offerto sino ad oggi ricopre solo una minima parte di ciò che effettivamente quel mondo costituisce. E si presume che non sia tutto rose e fiori ciò che di segreto si cela all’interno delle mura del Vaticano. In questi ultimi anni una band italiana in particolar modo ha assunto il ruolo, artisticamente parlando, di paladina dell’avversione nei confronti del culto cristiano e di certi suoi aspetti che vanno dall’ipocrisia, all’approccio mentale verso i suoi adepti, privilegiando nelle liriche e soprattutto nelle esibizioni live un’immagine più vicina ai riti pagani e tendenti ad una visione della religione che magari, ad occhi più ingenui, può sembrare negativa, quando invece è semplicemente la ricerca di rendere concreti, con la giusta dose di disinvoltura, alcuni passaggi maggiormente misteriosi ed oscuri. I toscani Deathless Legacy, tra i gruppi di punta della Scarlet Records, cercano quindi di compiere un ulteriore passo, in questo quarto album, rispetto a quanto di buono fatto in precedenza, approfondendo a piene mani all’interno dell’aspetto più rituale e mistico della religione. ‘Rituals Of Black Magic’ cerca, nel limite del possibile e mantenendo un certo contegno, di far conoscere all’ascoltatore i misteri più profondi e più occulti che si celano nelle storie e nelle vicissitudini della Santa Sede. Il tutto capitanato dalla guida artistica e spirituale della band, la bravissima Steva, che con quest’album si può candidare come una tra le migliori interpreti italiane del genere. Si parte con un intro che riveste un sapore goliardico, a cui segue la title-track, in cui prende corpo subito con insistenza la voce luciferina di Steva, audace e versatile nel modulare i registri, dimostrandosi anche calda nei punti che precedono il vigoroso chorus, e che va ad insaporire un pezzo che risulta molto consolidato già dai primi ascolti. Dai primi brani si nota, oltre alla voce ed alla presenza essenziale di Steva, il lavoro assolutamente notevole delle tastiere di Alex Van Eden (al secolo Alessio Lucatti), che già nei due dischi precedenti aveva dato un contributo importante alla struttura dei pezzi. È suo l’intro di “The Abyss”, che si ripete negli intermezzi tra ritornello e strofa, inserendosi nel mare magnum della costruzione musicale della band, e che dà quel tocco di vitalità maggiore che fa il paio con gli assoli di chitarra di Sgt. Bones, parecchio dinamici. Steva ancora una volta risulta incisiva nell’esecuzione di “Vigor Mortis”, in particolare nella sua struggente esecuzione del ritornello, in un pezzo che parte ben ritmato con una melodia ampiamente ricevibile ed orecchiabile, per poi addentrarsi nei meandri e nelle visioni pregne d’incenso inebriante, che saturano i territori sinistri a loro congeniali. Sonorità potenti e piuttosto sostenute in “Bloodbath”, che suggellano le intenzioni serie della band nei confronti delle terre vaticane e come intende trasformarle; queste sonorità si alternano nel prosieguo con un Alex di nuovo sugli scudi alle tastiere. Un altro brano che attesta il modo di pensare della band nei confronti delle trame ecclesiastiche è “Homunculus”, capeggiata da un Andrea Falaschi in versione pole-position con un drumming veloce e sostenuto, e da una Steva molto cattiva ed infernale, come solo lei sa essere, nel raccontare quelli che potrebbero essere gli atteggiamenti di coloro che popolano le segrete stanze del Vaticano, e cioè nient’altro che atteggiamenti da piccoli uomini, per usare un eufemismo. In “Ars Goetia” si nota l’ottimo alternarsi tra i vari membri, dove ciascuno non sfigura affatto e dove il risultato è una somma di parti ben calibrate che si modella in un brano metal dalla struttura poliedrica e molto variegata, dal chiaro sapore progressive. Molto atmosferica si rivela “Haruspex”, con il livello tastieristico che fa da ottima base su cui si appoggiano le melodie vocali quando leggiadre, quando combattive di Steva, e le notevoli linee di chitarra che toccano l’apice nel riff solistico prima della cavalcata finale. E si chiude con la discesa negli inferi attraverso una cornice sensibilmente sinfonica con “Dominus Inferi”, a suggellare probabilmente la tesi conclusiva che la band espone, a termine di tutte le analisi e gli approfondimenti effettuati durante la rispolverata dei grandi misteri che circondano le vicissitudini all’interno della religione cristiana: il giudizio estremo da parte del Signore degli Inferi per tutte le malefatte imperdonabili commesse nella nostra vita. Grazie ancora una volta all’ottima attività di produzione di Simone Mularoni, il lavoro si presenta completo sotto tanti punti di vista, destreggiandosi tra heavy metal moderno e parti symphonic, power e progressive, il tutto in salsa horror per rinsaldare con il cemento l’immagine dei Deathless Legacy, che si confermano tra le realtà più interessanti del metal italiano. Non si preoccupano delle tematiche trattate così poco politically correct, ma anzi, giocano sulla provocazione esasperandola come possono, dove possono, quando possono. Il tutto lo fanno costruendo un sound affatto estremo, che risulta esser in sintonia con le capacità di ascolto di buona parte dei fruitori.

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