DANE, WARREL: PRAISES TO THE WAR MACHINE
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15/06/2008Eccolo qui dunque il debutto solista di Warrel Dane, il quale ha deciso di accantonare per qualche istante i Nevermore, allo scopo di dedicarsi ad un progetto più personale, che prende le distanze dalla proposta della propria band madre, pur con qualche lecita e inevitabile somiglianza. Per questa nuova avventura il cantante di Seattle si è avvalso della preziosa collaborazione di nomi già affermati della scena metal, come Dirk Verbeuren (Soilwork), Peter Wichers (ex Soilwork) e Matt Wicklund (ex Himsa), cui vanno ad aggiungersi un paio di cammei ad opera di guest d’eccezione: James Murphy (Death, Testament….) e Jeff Loomis (Nevermore). 'Praises To The War Machine' è un disco intenso, sviluppato attorno ad un heavy metal senza eccessi, che punta certamente più sull’emozione che sull’impatto, attraverso un sound compatto, cupo e melanconico. Non a caso infatti, in questo contesto si inserisce perfettamente, come la tessera mancante di un puzzle, l’eccellente cover di "Lucretia My Reflection" dei The Sisters Of Mercy. Sebbene non manchi qualche passaggio più orientato al thrash metal, come nella conclusiva, trascinante "Equilibrium", il meglio di questo lavoro va ricercato in quei pezzi dall’andamento più sofferto e carichi d’angoscia, quei brani dove il malessere e il dramma delle lyrics sono esasperati dalla solita impeccabile interpretazione di Warrel Dane. Da questo punto di vista, nella categoria “da brividi” vanno inseriti senza timore di smentita "Brother", ma anche "This Old Man", con quel suo graffiante guitar work (bravo Wichers) e l’accattivante "Let You Down", che con un refrain del genere, non avrebbe sfigurato nemmeno su 'Dead Heart In A Dead World'. Da non trascurare poi "Messenger", la rassegnata opener "When We Pray" e "Patterns", cover di Paul Simon, che torna ad essere per Dane materia da plasmare, a distanza di qualche anno dall’epocale rivisitazione di The Sound Of Silence. Un disco affascinante, realizzato da uno dei migliori interpreti metal degli ultimi quindici anni, imprescindibile per chi già conosce il lavoro di Warrel Dane coi Nevermore (più che coi Sanctuary), ma ideale anche per chi volesse avvicinarsi per la prima volta a questo talento.
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