BATHORY: UNDER THE SIGN OF THE BLACK MARK
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11/01/2005Nessuno ha mai capito bene perché, ma per il 99% dell'audience metal, la storia dei Bathory inizia con questo terzo, celebratissimo disco. E in effetti è con questo album che i Bathory sono diventati qualcosa di più che una pulce nell'orecchio degli appassionati di "buona musica", ovvero ciò che erano stati con i loro due terrificanti esordi di pura bestialità messa in musica: ma è sempre sotto l'insegna del Marchio Nero che Quorthon e soci combattono la loro spietata battaglia contro le forze del bene! Non aspettatevi un ammorbidimento, già dalla terremotante "Massacre" abbiamo a che fare con un disco realmente estremo e pericoloso, che può per la prima volta beneficiare di una produzione decente: l'inquietante e confusionario ronzio di "The Return" è infatti stato sostituito da un sound incisivo e tagliente, non altrettanto marcio ma senza dubbio più malefico e aggressivo. E tutto ciò soprattutto grazie alla creazione dei un guitar sound molto particolare che si avvicina a quello che sarà l'inconfondibile trademark dei Bathory (e del black metal) del futuro, ovvero una distorsione pesantissima, dal suono letteralmente glaciale, che tempra a dovere i riff ancora una volta taglienti e scarnificati, ridotti all'osso e dissanguati, come le vittime delle terrificanti violenze e dei rituali blasfemi cantati nelle lyrics di questo maledetto e orrorifico pezzo di storia. Ancora una volta infatti lo stile proposto è un thrash metal minimalista ed esasperato, che stavolta però può contare sul songwriting di un Quorthon ben più maturo, che dà finalmente fuoco alle polveri: dopo gli esordi votati alla ricerca della velocità e dell'aggressività a senso unico, i nostri tolgono il piede dal loro acceleratore da F1, e interrompono con riff epici la brutalità di "Equimanthorn", o sparano un micidiale mid/tempo thrash nel grandioso inno "Woman of Dark Desires". Funebre e inquietante la spettacolare "Enter the Eternal Fire", forgiata da un magnifico riff ipnotico e consacrato al maleficio puro, letteralmente saccheggiato dalle black metal bands venture per i loro brani più lenti e putridi, e sulla stessa falsariga anche la storica "13 Candles". D'altra parte, l'incantesimo del black metal è pienamente compiuto nelle violentissime "Chariots of Fire" e "Massacre", con la batteria che vomita blastbeat e il riffing indiavolato al limite della comprensibilità, a fare da contraltare ai momenti più melodici che, come tutti più o meno saprete, cambieranno la storia della band: infatti nei solos di Quorthon, nei chorus gridati ma già anthemici, si avverte benissimo la futura metamorfosi della band… ma questa, come si suol dire è un'altra storia. Nel frattempo, godiamoci questa primitiva e salutare scarica di sangue e dolore, perché "Under the Sign…" rimane senza dubbio l'episodio più estremo e soprattutto ben riuscito degli esordi di una band che si stava prepotentemente facendo strada verso l'Olimpo del Metal. Un disco immancabile.
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