BATHORY: REQUIEM
data
30/11/2003Quando si parla di "Requiem" il fan medio dei Bathory tende a storcere il naso e portare il discorso sui veri capolavori della band. Non è un mistero che infatti con questo disco la band sia entrata in un periodo di crisi nera, mai ammessa ma abbastanza evidente per quanto non così tragica come alcuni vorrebbero far credere. Dopo le partiture quasi neoclassiche di dischi come "Hammerheart", Quorthon propone qualcosa che suona a metà tra un ritorno alle origini cavernicole della band e una proiezione in un malsano futuro di ambientazione quasi cyberpunk, alienante e completamente priva di qualsiasi spiraglio di luce. Una base thrash metal viene accostata alla brutalità del death più quadrato e dirompente e all'esplosione di un'attitudine quasi hardcore che rende il tutto un massiccio e violento insieme di disarmonie e scariche di bieca violenza, in grado di proiettarci nel concept sulla Morte in tutte le sue forme trattato da questo album. Proprio la Morte nei suoi aspetti più truculenti e meno poetici traspare da questi solchi deviati, malati e contaminati, quasi inquinati nel loro sound freddo, gelido e asettico. Il tutto ha un'atmosfera quasi da tavolo operatorio, con l'assenza totale di espressività a creare un potente mezzo per sbatterci in faccia le disilluse e asociali prospettive di morte che vengono trasmesse, soprattutto per merito di un Quorthon che vomita rabbia e dolore come mai aveva fatto prima, forte delle sue esperienze melodiche e di un'inossidabile attitudine allo screaming che gli anni non hanno minimamente intaccato. I riff deviati, minimali e scarnificati all'osso, la batteria incessante e ridotta al minimo indispensabile per fornire il giusto apporto di violenza, il sound a metà tra un'officina siderurgica e un obitorio. Questo è quanto troverete in "Requiem". Ma allora, cos'è che non va? Semplicemente, l'ossessività e la ripetitività che Quorthon ha scelto come mezzo espressivo non riescono a trasmettere la dovuta continuità di emozioni, anzi finiscono con l'annoiare e far perdere di interesse una proposta già di per sè difficilmente digeribile, affetta inoltre da un'evidente carenza di idee. I bei riff della title track e di "Apocalypse", con giri di basso quasi sabbathiani a supportare un'attitudine modernista à la Pantera, non riescono a cancellare episodi dimenticabili come le varie "Pax Vobiscum". Come se non bastasse, a volte si ha l'impressione di non accorgersi del cambio di canzone, tanto il lavoro è incessante e monotematico. Mettiamoci inoltre che questo disco ha pagato il pesante tributo del confronto con i propri illustri predecessori e capiremo perchè viene ritenuto sempre l'episodio più basso mai toccato dalla band. Certo, del buono c'è, perchè l'obiettivo viene centrato alla grande grazie alla maestria di un Quorthon sempre a suo agio nel minimalismo di una proposta musicale sempre lontana dalle mezze misure, e "Requiem" merita comunque un ascolto da parte di chi apprezza la proposta della band, evitando accuratamente ogni confronto con i più fortunati dischi precedenti.
Commenti