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ANTHENORA: SOULGRINDER

data

17/04/2006
84


Genere: Heavy
Etichetta: My Graveyard Productions
Anno: 2006

I cuneesi Anthenora lanciano sul mercato "Soulgrinder", figlio ufficiale numero due (il precedente, "The Last Command", è uscito sotto Locomotive Records nel 2004). Ammetto che "Soulgrinder" mi ha spiazzato: so che la band è attiva dal 1991, ma so anche che quando ne ho sentito parlare, e quando li ho visti dal vivo, era sempre un'occasione di tipo "maideniano": che fossero una cover band, o suonassero (come è stato per due anni di fila) con Nicko Mc Brain durante le sue clinic di incontro con i fan italiani, sempre quello era l'ambito: si capirà come fossi prevenuto nei loro confronti. Sì, lo ammetto, prevenuto. In effetti non credevo che un loro disco potesse piacermi sul serio, anche perchè, considerato che i miei ascolti sono preferenzialmente di ambito Classic Metal, ho rinunciato da tempo a sentire qualcosa di nuovo che non sia la brutta copia di qualcosa che già conosco a menadito. Il mio stato d'animo prima dell'ascolto, quindi, era di rassegnazione. Poi ho ascoltato "Soulgrinder", e mi è sfuggito un sorriso compiaciuto: potente ed ispirato, questo disco si solleva da un panorama di piattume tipicamente fatto di copia e incolla da "The Number Of The Beast", "Powerslave" ed una punta di "British Steel", per proporre idee originali e personali, pur nel rispetto di quella grande struttura storica che è il Classic Metal. Ottimi intrecci di chitarre che si fronteggiano in assoli incisivi, basso e batteria che si sposano alla perfezione con una carica esplosiva a dir poco devastante, ed un cantante che sfrutta appieno non tanto l'estensione, quanto la potenza della sua ugola. Certo, su alcuni passaggi i richiami ai classici (Iron Maiden sopra tutti, ma anche Judas Priest ed una punta di Iced Earth) si fanno più evidenti, ma manca completamente l'utilizzio stereotipato di clichè triti a ritriti. Inutile segnalare un brano in particolare: l'aggressività veloce di "Hellish Fire" fa da controcanto a quella monolitica di "Order Of Hate", la melodia è coinvolgente in ogni pezzo, sia esso la title-track "Soulgrinder" o l'imponente "The Call Of The Undead". Gli applausi si sprecano: ogni componente della band ha messo l'anima in questo disco, e si sente. Il risultato è un album che riesce ad inserirsi in modo innovativo in una scuola che dell'innovazione non può più fare il suo cavallo di battaglia, visto che ormai le innovazioni ottantiane e settantiane sono ormai cementate come colonne portanti del genere specifico.

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