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ALICE COOPER: BRUTAL PLANET

data

02/03/2004
90


Genere: Hard Rock
Etichetta: Spitfire
Distro:
Anno: 2000

Nel 2000, anno significativo per molti aspetti, Alice Cooper è un personaggio quasi dimenticato. Il suo clone mal riuscito, Marylin Manson, impazza in tutto il mondo portandosi in giro il suo pessimo gusto artistico e musicale. Ma Alice Cooper risorge. Sfida Manson sul suo stesso campo, sul campo dell'industrial, e lo distrugge. Certo, commercialmente questo "Brutal Planet" non sfiora nemmeno i dati di vendita di Manson, ma dal punto di vista artistico, musicale, Cooper dimostra ancora una volta che proprio non c'è storia. Lui è il Re dello shock-rock, lui l'ha inventato e lui è ancora il migliore. A differenza di tutti i precedenti album di Alice, "Brutal Planet" si basa in gran parte su fatti di cronaca (il massacro di Columbine, per esempio) e su amare riflessioni sulla strada di sangue e terrore che il mondo di oggi sta imboccando. Ed ecco allora il senso della drammatica title-track, brano fin troppo chiaro nella sua disperazione. La potenza sonora è schiacciante, Cooper incalza implacabile accusando il genere umano per quello che sta facendo agli emarginati ("Blow Me A Kiss"), a chi muore di fame ("Eat Some More"), o per aver creato dei veri e propri mostri di crudeltà ("Wicked Young Man"). Passando per l'impressionante incedere rabbioso e irriverente di "Sanctuary" e di "It's The Little Thing", arriviamo al brano migliore di tutto il disco: "Pick Up The Bones". Oscura, ipnotica, triste e quasi gotica, questa canzone ci riporta alle stragi provocate dalle guerre ogni giorno. Un pezzo da pelle d'oca, credetemi. Non poteva mancare la ballad, e allora ecco la splendida "Take It Like A Woman", ennesima presa di posizione di Cooper a favore delle donne, della loro capacità di sopportazione silenziosa, sconosciuta e incomprensibile a noi uomini... Splendida è anche "Gimme", con Cooper nella parte di Satana, a promettere ogni cosa all'uomo se solo l'uomo si inginocchia ad adorarlo... brividi per tutta la spina dorsale. Il disco finisce con "Cold Machines", inconscia (o forse appositamente voluta) song dal sapore molto "mansoniano"... testo ironico e linea melodica azzeccatissima per un brano che chiude degnamente uno dei migliori album dello zio Cooper.

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