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GROAN: THE DIVINE RIGHT OF KINGS

data

03/11/2012
75


Genere: Stoner Doom Metal
Etichetta: Soulseller Records
Distro:
Anno: 2012

Ecco un gruppo che non si prende troppo sul serio! Con due dischi all'attivo (tra cui questo nuovo 'The Divine Right Of Kings'), gli inglesi Groan si presentano al pubblico attraverso atmosfere musicali sempre a metà strada tra lo stoner e il doom con influenze derivanti soprattutto da gruppi del calibro di Black Sabbath e Cathedral, con brani rocciosi e ricchi di riff davvero molto graffianti e decisi. La peculiarità fondamentale di questi giovani musicisti è però il fatto di usare un approccio lirico e concettuale assolutamente demenziale e grottesco, con titoli pacchianissimi e testi molto farneticanti (ricchi di imprecazioni e deliri vari) che rendono l'ascolto piuttosto curioso e divertente. Tralasciando l'orribile artwork, il lavoro è aperto da un inquietante introduzione chitarristica tipicamente sabbathiana denominata "Weeping Jesus", dove temporaneamente si inserisce la voce grottesca e particolare del cantante il quale, nella successiva "Sacrificial Virgins" (con un titolo del genere c'e poco da spiegare) riesce ottimamente ad imprimere il proprio stile all'interno della canzone, quest'ultima molto più arrembante e divertente rispetto all'intro iniziale, con riff di chitarra ricchi di groove e attitudine felicemente "ignorante" con accellerazioni e assoli vari. "Magic Man" inizia in modo farneticante con la voce del cantante che declama versi bizzarri e sconnessi, per poi accellerare in modo improvviso regalandoci una canzone davvero trascinante e veloce grazie a riff penetranti e stacchi di batteria semplici, ma efficaci. Qui l'atmosfera generale sembra ricalcare in parte alcune cose dei Witchfinder General, cosa avvertibile tra l'altro anche in "Dissolution". Con "Atomic Prophets" il gruppo sfodera riff e assoli Sabbathiani all'ennesima potenza (effettivamente l'originalità non è il loro forte), mentre con "Gods Of Fire" il gruppo mostra una certa epicità di fondo (ricostruita bene grazie al lavoro di chitarra) grazie anche a melodie e ritornelli davvero molto pulsanti e sanguigni che fanno il pieno anche con "How Black Was Our Sabbath" (indovinate a chi si stanno riferendo??), brano pregno di riff aggressivi e senza fronzoli. Se la successiva "Black Death" non cambia di molto le carte in tavola, la conclusiva "The Divine Right Of Kings" è senza dubbio il brano più interessante e articolato del disco. La canzone inizialmente assume tinte medioevali grazie anche all'organo posto sullo sfondo, per poi svilupparsi attraverso molteplici atmosfere, cambiando pelle attraverso sonorità ora aggressive, ora più morbide, con successivo dispiegamento di assoli chitarristici.

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