SOMEWHERE IN TIME: Il trentennale
'Somewhere in Time'. Per la classica e distaccata recensione, o lezione di storia, QUI potete trovare la versione di Hardsounds. Volevo soffermarmi in realtà su aspetti più personali. I trent'anni di un album importante come questo, da compiere ad ottobre, fanno riflettere. Attenzione, non ho sparato paroloni come "capolavoro" o "imperdibile". No, magari la vostra vita va avanti lo stesso saltandolo a pie' pari, godendo di più con 'Powerslave' e poi 'Seventh Son...' e facendo finta che questo disco del 1986 sia un passo falso. Le parole che state leggendo invece vogliono rendere omaggio agli Iron Maiden non in senso assoluto, ma rispetto alla loro forza di cambiare la vita delle persone. Potrete parlar male di 'Fear of The Dark' e di tutti quelli venuti dopo, ma non potrete mai negare la imprescindibile e determinante influenza che dischi del genere, con canzoni forti e iconiche, può avere sul ragazzino che si accinge a diventare uomo. Dovete sapere che in certe zone d'Italia è stato impossibile applicare il concetto di "download illegale" o "streaming" alla realtà non tanto perché in Basilicata eravamo paladini della giustizia, ma per una ragione molto più terra terra: le connessioni internet erano una chiavica. Fino al 2008 circa i byte viaggiavano sul dorso di un mulo. Questo ha consentito di prendermi le grosse cantonate tipiche degli acquisti a scatola chiusa (che poi oggi nessuno fa, quando un tempo era la regola!) e tante belle sorprese. Vivevo in un limbo in cui ancora aveva senso scrivere e leggere le recensioni. E lo rimpiango. Gli ordini forsennati con i miei amici su qualche mailorder erano qualcosa di estremamente ponderato, sia nella scelta dei titoli da comprare, sia nel vagliare i prezzi che potevano andare bene per tale disco o per quest'altro. In uno di quei colossali pacchi era incluso un gran numero di cd degli Iron Maiden, di quelle edizioni che sul bordo laterale ti compongono la facciona di Eddie. Erano cd di cui non avevo ascoltato manco una nota, ma diamine se ne parlavano bene su quella pagina internet che si caricava in venti secondi... All'epoca conoscevo giusto 'Killers' (comprato anche questo al buio, solo incantato dalla copertina) e poco altro, tipo "Fear of The Dark" (unico prototipo di canzone metal riuscita a "sfondare" nel cuore della Terronia). Capite bene che ritrovarsi nei dintorni del Natale con nuovissima musica da scoprire era l'esperienza più bella del mondo. E quindi per caso, dopo un veloce sorteggio (non mi dite che solo io scelgo cosa ascoltare con questo metodo), esce fuori il futuristico 'Somewhere In Time'.
Copertina come sempre spettacolare, qualche citaizone la avevo colta, molte altre no. E al cliccare su play esplose tutto il mondo che avevo gelosamente costruito. Heavy metal... con i sintetizzatori? Suona così, allora. Ma non è una roba smidollata come quei luminari della rete con le loro recensioni mi avevano detto. Anzi, ci sta proprio bene quel suono. E che tiro questa "Somewhere in Time" che dà il titolo al disco. Una sorta di manifesto dell'opera. Il brano a cui sono più affezionato - e che il 24 luglio, se non verrò colpito da un fulmine prima, canterò al Sonisphere - è "Wasted Years". Melodica, commerciale, ruffiana, poco Maiden... Se ne sono dette di tutti i colori. Fatto sta che è il brano (e soprattutto un ritornello da lacrimoni) che mi ha fatto amare definitivamente il genere, con un testo che esprime pienamente la grande epopea del metallo e di tutto quello che stavo vivendo all'epoca. Gli anni d'oro sono ancora qui. Sta a noi viverli come tali. "Sea of Madness" e "Heaven Can Wait" hanno sdoganato presso di me un concetto forse sbagliato di prog, semplicistico e vago, ma che grazie a un break melodico e una introduzione insistente mi ha spinto a scoprire poi i Rush e a non disdegnare le varie divagazioni sul tema. Sai che palle se i Maiden avessero fatto dieci 'Powerslave' di fila! Scintillante, poderoso, con dei temi che si ripetevano e forse inconsapevolmente si citavano in varie canzoni, questo 'Somewhere in Time', in cui il contributo di Dickinson è stato minimo al contrario della grossa mano di Adrian Smith, riesce a valorizzare e incarnare tutti i pregi e i vanti del metal, trasportandoli al di fuori del tempo. Così come senza tempo è il modo di suonare il basso di Steve Harris, ma non vado oltre per non tediarvi con le solite lodi sperticate a chi ha spinto migliaia di ragazzini (me compreso) a cimentarsi col basso. Non sembra anacronistico il suono e il ritmo incalzante di Nicko McBrain, non lo sono neanche tutti i riff sfavillanti che compongono le otto canzoni. Si tratta di un bilanciamento ideale che credo abbia influenzato tantissime persone e le abbia predisposte a una apertura musicale che poi si è rivelata essenziale per la loro avventura nell'ascolto del metal e del rock in generale. Ecco uno dei tanti motivi per cui gli Iron Maiden vengono considerati la più grande band metal. Se leggendo vi è sembrato di vivere un "dejà - vu" e vi sono venute in mente altre storie relative a quest'album, scrivetele pure nei commenti. Auguri, vecchio mio.
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