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RINO GISSI: Death By Metal

Dbm

La storia di Chuck Schuldiner e della sua creatura, i Death, ai quali, con molta probabilità si fa risalire la nascita di quel filone estremo che da loro prende il nome di death metal, trasposto con fluidità e ricchezza di informazioni da parte dello scrittore ancora in giovane età. Le vicissitudini, l’evoluzione della band tangibile disco dopo disco, i continui cambi di formazione per quella spasmodica ricerca nel migliorare la tecnica e spostare i limiti sempre più in là, tenendo sempre l’occhio puntato sulla melodia; una sfida contro se stessi per misurare le proprie abilità, ed i vecchi compagni di ventura che tecnicamente non riuscivano a stargli dietro, tanto da fargli guadagnare l’aggettivo di despota poco tollerante. Incapace di scendere a compromessi, con addosso la paura di essere raggirato da labels e manager, ha sempre avuto un atteggiamento diffidente e sospettoso, spesso dovendo difendere le sue scelte attraverso comunicati stampa; una personalità che ha diviso l’opinione di chi ne veniva a contatto, generando odio ed amore come confermato da una dichiarazione di Martin Van Drunen (ex vocalist dei Pestilence nel 1991 durante un tour negli USA di spalla ai Death) il quale affermò che i roadie dei Death preferivano andare nel tour bus degli olandesi pur di star lontano dalle bizze di Schuldiner, mentre i fan lo reputavano una persona gentile, sempre disponibile al dialogo e mai con quell’atteggiamento da star (come specifica Joe Laviola batterista dei Gory Blister, che ha avuto il piacere di suonare insieme in due date dell’ultimo tour italiano). I diversi problemi manifestati nei tour, alcuni abbandonati a metà svolgimento per la difficoltà ad abituarsi alla vita on the road, tanto da costringere gli altri membri della band ad imbarcarsi in una tournee europea senza di lui dopo la pubblicazione di “Spiritual Healing”. Nonostante la sua band crescesse in notorietà la sua proposta non gli procurò successo commerciale tale da permettergli di vivere di musica. Nella vita privata era una persona semplice, amava stare a casa, giocare col suo cane ed uscire con gli amici; per assurdo la sua più grande paura era la morte, quella morte che portava addosso come segno indelebile della sua creatura. Il lungo calvario della malattia, le iniziative benefiche effettuate attraverso vari concerti per raccogliere fondi mai pervenuti alla famiglia; le vicissitudini legali che ne derivarono per la vicenda Death To All (band formata da ex membri che hanno militato nelle varie formazioni dei Death) contro l’ex manager Grief che chiese 50.000 dollari per l’utilizzo del monicker. Mi piace riportare questo passaggio del libro: una volta metallari si nasceva, oggi basta un lettore mp3 ed un hard disk pieno di cd per diventarlo senza compromettere la propria reputazione; non è da escludere che la globalizzazione culturale ha fagocitato il metal assegnandogli un posto fisso nell’intrattenimento, privandolo della trasgressività, l’impressione è che il metallo pesante sia passato da roba per tossici ed esagitati ad un esercizio di stile ben integrato nella società e tutto sommato innocuo. Schuldiner crebbe senza sentirsi migliore degli altri per diritto divino, talvolta peccò di superbia nelle vicende professionali ma in nome di un insospettabile insicurezza di fondo più che dell’arroganza e come suggerito da Steve Di Giorgio: il modo più opportuno per ricordarlo è continuare ad ascoltare la sua musica ad alto volume. Let the metal flow.

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