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GIOVANNI DI IACOVO: Noi Siamo La Notte

Noi

Una panoramica romanzata molto interessante sulle culture industrial e goth e relative band/scene/clubs/serate/festival/negozi di dischi e di abbigliamento sia in ambito nazionale (Roma, Milano, Firenze e Napoli) che internazionale (Londra, Berlino, Tokyo), e la relativa contaminazione tra musica e cinema. Cio che più colpisce è la capacità dell’autore di dare al tutto la prospettiva del classico ragazzo di provincia che per sfuggire alla monotonia della vita trova una valvola di sfogo nella musica, capace di amplificare le emozioni che un’esistenza senza troppe novità o stimoli esterni riesce a dare. La tranquilla vita pescarese costringe lo scrittore ad abbandonare la terra natia alla ricerca delle novità che la vita provinciale gli aveva negato, si ritrova così a confrontarsi con realtà che esistevano solo nella propria fantasia. La narrazione intreccia panoramiche sulle singole scene ed i dischi che sono risultati rilevanti per lo scrittore, con spaccati romanzati di situazioni vissute sia nella città natale che altrove, dove eventi paradossali e distillati di vita vissuta sono in grado di provocare fortissime emozioni tra i quali la morte di un amico o la vecchietta che li spiava mentre facevano casino nella piazza centrale di pescara. Ciò che ne vien fuori è la diversità del ragazzo di provincia rispetto alla massificazione borghese imperante, la possibilità che ogni lettore possa ritrovare momenti della propria esistenza sia nei locali/clubs di cui il libro narra che nelle band trattate. Interessanti gli aneddoti, i racconti e le curiosità sulle band che hanno fatto la storia del goth e dell'industrial. Lo scrittore cita una miriade di band e dischi, oltre i soliti nomi quali The Cure, Joy Division, Bauhaus, Rammstein, Einsturzende Neubaten e Nine Inch Nalils, tra i quali "Altered States Of America" degli Alien Sex Fiend e "Carved In sand" dei The Mission come rappresentativi delle rispettive discografie, mi permetto di dissentire citando "Acid Bath" e "Maximum Security" dei primi e "God's Own Medicine" dei secondi come migliori espressioni del rispettivo talento. Ho trovato fuorviante l’eccessiva frammentazione dei sottogeneri che crea confusione a chi non ha dimestichezza con l'underground (biopunk, steampunk, idm, aggrotech, future pop, harsh, dream pop, powernoise, pagan folk, martial industrial, military pop) alla fine sono tutte sotto-definizioni riconducibili ai filoni prrincipali del goth e dell’industrial.   

Mi è particolarmente piaciuto questo passaggio del libro che ho vissuto in prima persona, come credo molti di voi, e colgo l'occasione per condividerlo: “Durante le delusioni d'amore preferivo smettere di ascoltare la musica, non volevo che al vero dolore si agganciasse nessun brano per evitare che anni dopo nel risentirlo potessi provare le medesime brutte sensazioni. Anche se in realtà il retrogusto di un dolore, anni dopo averlo provato, ha quel sapore quasi euforico della sopravvivenza e se ne ha quasi una godibile nostalgia”.

La capacità dello scrittore di intrecciare e rendere vive le vicissitudini raccontate con i dischi che le hanno contraddistinte, rende molto difficile staccare gli occhi dal libro finche non ce lo impone l'ultima riga.

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