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COBAIN: Montage of Heck

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Ci siamo recati al cinema con tanto timore. Paura di trovarci di fronte all’ennesimo prodotto di marketing vuoto, falso, una macchina da soldi per lucrare ancora e di nuovo sulla morte di uno dei nostri punti di riferimento adolescenziali, quello che chi vi scrive, come immaginiamo anche molti di coloro che erano liceali negli anni Novanta, ha sentito nominare per caso, ad undici anni, e che ha dato il la all’ascolto del grunge, del rock, del punk e alla passione per la musica di tanti ragazzi. Invece ‘Cobain – Montage of Heck’ si rivela un documentario in grado di riaprire i cassetti di ricordi ed emozioni di chi ha vissuto quegli anni, e capace di far respirare quelle atmosfere anche a chi non ha avuto la fortuna di esserci. Brett Morgen, autore fra gli altri del docufilm ‘Crossfire Hurricane’ sui Rolling Stones, si dimostra estremamente portato per cogliere i musicisti nel loro lato più intimo, umano e creativo. Partendo dalle immagini di Kurt neonato si ripercorrono i suoi 27 anni di vita, privata oltre che artistica, dall’anonimato all’improvviso, dirompente successo mondiale.

In più di due ore in cui si susseguono inediti di foto, appunti e pagine di diari, disegni, cartoon, filmati famigliari, registrazioni con la voce di Cobain dai quali si percepisce il suo profondo dolore fisico e psicologico, la rabbia incontenibile che non trova un bersaglio preciso contro cui sfogarsi e gli esplode quindi nello stomaco, la solitudine, l’incomprensione e l’insoddisfazione, la ricerca di sollievo nelle droghe, alternati però a momenti di convinzione, allegria ed esaltazione. Lo raccontano poi a modo loro la mamma, il papà, la matrigna, la sorella, la ex fidanzata, l’amico e bassista dei Nirvana Krist Novoselic, e la tanto odiata (da noi) e tanto amata (da lui) moglie Courtney Love. Non è stato coinvolto Dave Grohl e non interviene la figlia Frances Bean, produttrice del film, che compare neonata in allegre e dolcissime scene famigliari che ritraggono Kurt in veste di papà affettuoso e giocherellone, ma alle prese con la sua tossicodipendenza. A far da colonna sonora ovviamente le sue canzoni, quelle parlano molto più delle immagini. "Something In The Way" rimane marchiata nell’anima con la sua rassegnata tristezza. Alcune sono inedite, altre riviste, come una suggestiva "All Apologies" in versione carillion, e una molto discutibile versione in cori e voce femminile di "Smells Like Teen Spirit". Il culmine del documentario coincide col picco della carriera dei Nirvana, quel famoso Unplugged di fine 1993, il live più bello che abbiano mai suonato, quello che contiene cover come "Where Did You Sleep Last Night" di un’intensità tale che superano di gran lunga gli originali, l’Unplugged più emozionante fra tutte le sessioni acustiche mai registrate negli studi di MTV.

E poi arriva Roma, il Roipnol, il ricovero d’urgenza al Rome American Hospital raccontato con pochi scatti. Davanti agli occhi di chi vi scrive invece le immagini del tram che ci portò sotto l’ospedale, la facciata fredda dell’edificio, il largo sorriso quando apprendemmo dalla stampa che Kurt era uscito dal coma e aveva chiesto uno strawberry milkshake. Poi il documentario si interrompe. Solo due righe per dire che un mese dopo, il 5 aprile 1994, si suicidò nella sua casa di Seattle. Nessuna immagine delle veglie dei fan, delle lacrime e del dolore che ha lasciato fra noi. Morgen fa terminare di colpo questa biografia, come di colpo, di un colpo di fucile M-11 è finita la vita di Kurt Cobain. La sua vita, sì. Ma la sua musica, no. Sicuramente un documentario da vedere per chi in qualche modo ha amato l’artista di Aberdeen

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