THE PINEAPPLE THIEF: It Leads To This
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19/01/2024“Si dice che il ghiacciaio è la memoria degli inverni passati, che la montagna custodisce per noi. Sopra una certa altezza ne trattiene il ricordo, e se vogliamo sapere di un inverno lontano, e lassù che dobbiamo andare”. Il ghiacciaio come un corpo che non sta mai fermo (progressive). Gelo e disgelo. E’ con questa immagine del film ‘Le Otto Montagne’ che vorrei descrivere questo album ‘It Leads To This’. Dallo spirito contradditorio, ambientazioni nostalgiche, con strofe ricche di tensioni nel racconto (gelo) ed esplosioni di melodia, calda, positiva, nei ritornelli (disgelo). The Pineapple Thief, figli delle derivazioni della musica progressiva, intesa come musica coraggiosa nello sperimentare, supportati dall’etichetta dedicata britannica Kscape, ritornano dopo due anni con il sedicesimo lavoro attraverso un art-rock alternativo, indie (no assoli), alimentato da una propria ricerca di “quel non so che”. Attivi dal 1999. Proliferi. Accusati di essere fotocopia dei Porcupine Tree, capostipiti di una svolta del prog rock (attualizzato), e per questo spesso accantonati dalla critica. Elogiati solamente dall’ingresso in formazione del batterista Gavin Harrison, in primis come session man con ‘Your Wilderness’ (2016), e poi come coautore nel 2018 con ‘Dissolution’ (a mio giudizio il loro miglior album). Un territorio non commerciale il loro, occupato dalle possibili derivazioni del prog rock dei Porcupine Tree, territorio affascinante come quello dei polacchi Riverside, impervio come quello dei norvegesi Gazpacho o elettronico dei No-Man. A mio giudizio loro ripartono dal ritmo, da Gavin Harrison, un grande manipolatore del tempo, creatore di illusioni sonore ritmiche che rendono il mood rilassato e disteso. Un batterista conosciuto per Porcupine Tree, King Crimson, dal background flessibile e vario, soprattutto nel campo della musica italiana (Battiato, Baglioni, Finardi, Alice, Mannoia, etc.). Turnista per molto tempo, ma ora più che mai batterista con una propria personalità, dal suono distinto, identificativo e riconoscibile. E con i TPT le sue idee sono proprio al servizio del suono. Un risultato melodico, una batteria che si trasforma in pianoforte per la resa armonica; brillante, vibrante, dal risultato nitido e dolce, un legante che si amalgama perfettamente con il basso e gli altri strumenti in completa armonia. Una continua attenzione (nel mixare) a mantenere il legame tra il rullante ed i tom (quando suoni il rullante, i tom devono risuonare). Il cantato è spesso sussurrato, mai sofferto, ma prima fragile, in tensione, e poi morbido e confortante. Per assurdo la componente intimista abbraccia l’ascoltatore con quel senso di pace alla Nick Drake. Un progressive capace di trascinare nella dimensione dell’ascolto soprattutto nelle tracce centrali del disco “It Leads To This”, nel riff in 7/4 dal gusto amaro e dolce di “The Frost”, “All That’s Left”, “Now It’s Yours”. Otto tracce riequilibrate ed uniformi come durata (ognuna tra i 4-5 min), nessun cedere nel prolisso come in passato (11 minuti). Il disco si riallaccia al fluttuare sonoro di “Shed A Light”, ultima traccia di ‘Dissolution’. La preoccupazione di Bruce Soord nel guardare indietro e temere per il mondo che i suoi figli erediteranno è la miccia. E’ un album asciutto (ma con prodezze da Harrison); disco dal potere distensivo e lenitivo: per quei momenti in cui nulla funziona. Il 7 marzo i TPT saranno in tour all’Alcatraz a Milano.
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