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SUEDE: The Blue Hour

data

01/10/2018
85


Genere: Alternative Rock
Etichetta: Suede Ltd.
Distro: Warner
Anno: 2018

I Suede sono una band miracolosa. Non ci sono altri termini per definire la loro carriera: sembravano morti e sepolti già dopo il loro più grande capolavoro, il clamoroso ‘Dog Man Star’, a causa dell’abbandono del fondamentale chitarrista Bernard Butler. Nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato su di una loro eventuale ripresa, invece nel 1996 arriva un secondo capolavoro con il pop lucente di ‘Coming Up’, con alla sei corde il rimpiazzo (allora davvero giovanissimo) Richard Oakes. Poi altri due dischi, uno sufficiente e forse vagamente sottovalutato (‘Head Music’), ed un altro inequivocabilmente disastroso (il pastrocchio ‘A New Morning’, inutile spreco di soldi e di produttori), un best of e poi l’abisso dello scioglimento e di una carriera solista di Anderson piuttosto trascurabile. Al carismatico frontman non è bastata nemmeno un’estemporanea reunion con Butler (nel progetto The Tears), per ritrovare quella scintilla ormai persa nel tempo, nell’abuso di droghe e nella fretta compulsiva di mettere in piedi progetti su progetti. Poi nel 2010 arriva la reunion della seconda incarnazione della band (quella con Oakes alla chitarra), e tre anni dopo un grande ritorno con un ottimo disco come ‘Bloodsports’ (con tanto di ritorno inaspettato in top ten). Poteva finire qui, ed invece no; il successivo ‘Nights Thoughts’ alza ancor di più l’asticella, e mette in chiaro che i Suede fanno sul serio e vogliono riportare la loro musica ad un livello degno dei loro momenti migliori. E quel giorno finalmente è arrivato: questo nuovo ‘The Blue Hour’ li riporta ai livelli del tanto amato ‘Dog Man Star’, resuscitandoli definitivamente. I cinque londinesi confezionano un disco clamoroso, bellissimo, testimonianza di un’ispirazione di nuovo cristallina e degna delle potenzialità della band; al banco di produzione (al posto del sodale Ed Buller) adesso siede un vecchio volpone come Alan Moulder (coadiuvato dal fondamentale tastierista della band, Neil Codling), che trova un perfetto equilibrio tra le varie anime della band capitanata da Anderson. Ma ‘The Blue Hour’ è soprattutto il disco di Richard Oakes, mai così ispirato, ficcante e in alcuni frangenti persino cattivo (come nel bridge di “Beyond The Outskirts”, pezzo così valido che avrebbe potuto essere inserito nella tracklist dell’esordio del 1993 senza troppi problemi, o nello stellare britpop di “Cold Hands”, il pezzo più radiofonico dell’album e reminescente delle atmosfere di ‘Coming Up’, oltre che della vecchia “New Generation” – a tratti Oakes sembra quasi citarla apertamente nel riff di chitarra). Il fantasma benevolo di ‘Dog Man Star’ aleggia più di una volta, soprattutto nel lead single “The Invisibles” (sorta di nuova “Still Life”) e in “Wastelands”, futuro punto fermo delle setlist della band e già in odore di classico del repertorio. “As One” apre tra canti gregoriani e un Anderson in forma fantastica; “Life Is Golden” è il singolo perfetto, con un ritornello da mandare subito a memoria, e “Flytipping” regala in chiusura quasi sette minuti tra cambi repentini di atmosfere e una parte strumentale varia ed ispiratissima. Uno dei dischi dell’anno, ed il miglior disco dei Suede da almeno ventiquattro anni. Bentornati, davvero.

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