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SLAYER: CHRIST ILLUSION

data

09/08/2006
81


Genere: Thrash Metal
Etichetta: American Recordings/Warner
Anno: 2006

Nota: questa è una recensione a due mani, redatta da Eomer e Tormentor ed inserita in una sola scheda recensione per motivi di comodità per il lettore. Il voto è il medesimo per entrambe le recensioni, e lo trovate in fondo alla scheda. Buona lettura!(Flames Of Hell) Recensione di Tormentor Eccolo, l’oggettino più bramato dai thrasher di mezzo (tutto il?) mondo; il nuovo disco degli Slayer, con il plus valore stavolta del ritorno dietro le pelli di Dave Lombardo, percuotitore d’eccezione che ha il merito di aver coniato uno stile senza il quale ora come ora centinaia, migliaia di band non esisterebbero nemmeno. Primo disco con Lombardo a sedici anni da “Seasons In The Abyss”, dove nel lungo periodo trascorso si sono susseguiti dischi di buona qualità, su tutti l’ultimo “God Hates Us All”, che si prendeva arrogantemente la briga di essere fin troppo prolisso. E Slayer e prolissità sono due cose che vanno poco d’accordo. Il pericolo che “Christ Illusion” si rivelasse una delusione era palpabile; e Araya ha poca voce dal vivo, e ormai sono vecchi e bla bla bla. Ma basta l’attacco della terrificante opener “Flesh Storm” per fugare ogni dubbio: riff e assoli al fulmicotone, lordi di sangue targato Hanneman/King come ai bei tempi, il solito Lombardo che non ha il minimo riguardo per il proprio drumkit ed un Tom Araya che da par suo urla come un indemoniato e sputa liriche al veleno facendo a gara con i 200 bpm e più delle parti strumentali. Non c’è un attimo di tregua; “Catalyst” e “Skeleton Christ” sono altre due cavalcate degne di nota, interrotte solo dalla cadenzata e terremotante, e in tutta onestà non perfettamente riuscita “Eyes Of The Insane”. Da applausi “Jihad” nella quale Hanneman fa finalmente trasparire al 100% la sua mai nascosta passione per i Dead Kennedys, “Cult” e la chiusura di “Supremist”, dotata di una coda finale che spaventerebbe le più scafate band ‘estreme’. Poco altro da dire se non che ci troviamo di fronte con tutta probabilità al miglior lavoro della band dal 1990; zero fronzoli, tutta sostanza. Del resto, di fronzoli “Christ Illusion” non ne ha se escludiamo un paio di pezzi buoni ma trascurabili (“Catatonic” e “Eyes Of The Insane”) ma è anche vero che pure “Seasons In The Abyss” conteneva “Temptation”, e in fin dei conti la cosa davvero superflua è forse questa doppia recensione. Il trono non verrà usurpato ancora per lungo tempo. Recensione di Eomer Cinque anni sono passati dall’ultima release, ben sedici invece dall’ultimo studio album con la line up originale, quella con Dave Lombardo alla batteria. Ovvio che l’attesa per questo nuovo “Christ Illusion” stesse raggiungendo livelli insostenibili. Anche perché basta solo il nome della band per mettere tutti all’erta, pronti ad incassare il nuovo colpo inferto da uno dei gruppi che maggiormente hanno contribuito a definire le coordinate di un certo modo di fare metal estremo. C’è da dire che comunque valeva la pena aspettare visto che con molta probabilità gli Slayer hanno dato vita al loro miglior lavoro dai tempi di “Seasons In The Abyss” Ottimo l’inizio, con una “Flesh Storm” che prosegue quanto di buono fatto col precedente “God Hates Us All”, riprendendo ancora con maggior forza certe soluzioni passate e mostrando la consueta classe unita ad una concretezza che non ha eguali. Protagonista da subito Dave Lombardo, che ci mette meno di un secondo per dare al pubblico l’ennesima prova del suo talento sconfinato (il suo drumming rinvigorito ed accresciuto d’esperienza è linfa nuova per la band). Sugli scudi anche “Jihad”, forse una delle sorprese più positive, in cui il ferocissimo thrashcore di Araya e soci fa da sfondo a lyrics che, come è facile intuire, trattano tematiche particolarmente delicate e lo fanno con i soliti toni accesi che non tarderanno a scatenare fiumi di discussioni. Stesso thrashcore coriaceo per “Skeleton Christ” dove chitarre bassissime dettano una ritmica marziale e straziante prima di lasciar posto ad accelerazioni sferzanti, vero trademark della band, con dei solos taglienti alla vecchia maniera (ma le due dilanianti asce lasciano il segno in ogni brano). Poco importa che il mid tempo di “Eyes Of The Insane” non riesca a convincere fino in fondo, perché pezzi come “Catalyst”, “Cult” o “Supremist”, che mostrano il lato più “conservatore” del gruppo, contribuiscono a consegnare alla storia del metal un altro capitolo vincente targato Slayer. E un plauso finale ad Araya, le cui urla incutono timore ora come vent’anni fa.

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