RUNNING WILD: ROGUES EN VOGUE
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31/03/2005Mettiamo subito in chiaro una cosa: tutti i discorsi che si fanno sul power metal tedesco, su quanto abbia rotto le palle, su quanto abbia stancato anche i più talebani appassionati del genere, su quanto il mondo possa fare a meno di miriadi di inutili bands dedite al culto della doppiacassa e del ritornellone epico... tutti questi discorsi NON VALGONO per i Running Wild. I motivi sono molteplici, per esigenze di spazio mi limito a citare la divinità dell'Ammiraglio Rolf Kasparek, l'irresistibile simpatia di tutta la band, l'indiscusso savoir faire con cui i nostri riescono a proporci la solita minestra da anni (e a farcela piacere), la superiorità indiscussa dell'immaginario piratesco sui concept pseudo-fantasy dei vari patetici cloni... Ma servirebbe a poco. Il fan medio dei Running Wild sa bene cosa aspettarsi da un disco come "Rogues En Vogue" annunciato già da tempo come un ritorno al sound più classicamente ottantiano della band, lontano dai fallimenti doppiocassari di "The Brotherhood" e dai passi falsi di "Victory", dischi che avevano fatto temere un calo di morale nella ciurma tale da farci ricordare che in fondo i nostri non fanno altro che riproporre più o meno lo stesso disco dai tempi di "Under Jolly Roger"... A questi errori "Rogues En Vogue" sembra porre rimedio con un ritorno alla grinta del passato, e non solo: a brani semplicissimi come al solito (riprendendo dunque la lezione di "Pirate Song", ultimo faro di speranza nella carriera della band) si affiancano episodi più profondi e ragionati. Ma andiamo con ordine. La produzione (punto debolissimo degli ultimi lavori) si attesta su coordinate decisamente più classiche, con una batteria sempre inequivocabilmente finta ma non ai livelli computeristici di "The Brotherhood", evitando le clamorose sparate gammarayane che ai nostri non sono mai riuscite troppo bene... le chitarre di Rock'n'Rolf sono in grande spolvero, con una serie di grandi riff a tessere le tele di canzoni dall'impatto chitarristico ottimale quali l'opener "Draw The Line", corposo mid-tempo di saxoniana memoria, o la potente title track. Bellissimi i rimandi hard e l'appeal danzereccio di "Skeleton Dance", forse il brano più riuscito dell'album, bellissimo anche il tributo al pirate metal che spadroneggia nell'epica "Skulls & Bones", nuovo inno corsaro con un micidiale cambio di tempo sul finire che tiene l'attenzione e la foga sempre a livelli altissimi. "Winged And Feathered" è un altro pezzo classicamente Running Wild, mentre "Angel Of Mercy" è la sparata più classicamente power del disco, con bridge ovvio e ritornello trascinante (prevedo autentici deliri nelle prossime esibizioni live...). Sorprendente è invece la conclusiva "The War", dieci minuti di canzone incentrati sulla Seconda Guerra Mondiale, epica suite in cui assistiamo alla metallizzazione di temi ricorrenti nelle marcette militari dell'epoca... è improbabile parlare di stupore di fronte a un disco dei Running Wild, ma questa canzone è indubbiamente un episodio valido e la conferma che i nostri, a differenza di molti altri, il loro mestiere lo sanno fare. E' proprio questa la differenza: "Rogues En Vogue" è un disco che conferma l'assoluta staticità artistica dei Running Wild, e contemporaneamente attesta che la solita minestra, servita da loro, riesce ancora a piacere. Scusate se è poco.
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