LUNARIS: CYCLIC
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14/11/2005Dopo il buonissimo esordio con "The Infinite" mi aspettavo molto dai Lunaris, ma qualcosa deve essere andato storto: il disco che avrebbe dovuto vantare la partecipazione di Sverd (Arcturus) e Eric Petterson (Testament) alla fine vede "solo" come ospite il grandissimo Steve Di Giorgio al basso; inoltre "Cyclic" registra molti cambiamenti, ma soprattutto finisce per risultare molte spanne sotto quelle che erano le aspettative per il successore di "The Infinite". Il primo elemento negativo che salta all'occhio è la perdita di due elementi fondamentali come il funanbolico batterista Asgeir Mickelson e il tecnicissimo chitarrista Steinar Gundersen entrambi provenienti dagli Spiral Architect; mentre il fenomenale batterista viene sostituito dall'italianissimo Janos Di Croce, il chitarrista non viene rimpiazzato, dato che in questo cd di tutte le parti di chitarra si occupa il leader della band M. Al riguardo va detto che se il buon Janos riesce nella difficilissima impresa di non sfigurare di fronte all'irraggiungibile Mickelson, la mancanza di un secondo chitarrista si riflette nella perdita di varietà nel guitarwork, oltreche in una certa piattezza compositiva. Non solo il black sinfonico e progressivo del debutto viene sostituito da un death tecnico abbastanza monodimensionale e con poco spazio alle tastiere che avevano impazzato sul debutto. Quello che ne viene fuori non è un brutto disco, ma neanche nulla di particolarmente esaltante: l'inspessimento monodimensionale del suono, la mancanza di varietà e le influenze progressive ridotte al lumicino finiscono per annoiare presto. Non è un caso che i brani migliori siano quelli dove la band si distacca dalla veste del death tecnico per cercare un approccio maggiormente progressivo: guarda caso si tratta di "I.A.D." che vede la partecipazione di Di Giorgio e "When It Ends" caratterizzato dalla rimpatriata del'ex Asgeir Mickelson. Per il resto pur non presentando brani scadenti la track list si trascina in modo abbstanza piatto, penalizzata anche dallo scarso spazio concesso all'ottimo bassista e clean vocalist. Matzema (ossia Oyvind Hageland degli Spiral Architect) e alle tastiere di Ray. Insomma una mezza delusione, amplificata dalle rosee aspettative legate al debutto, non resta che sperare in un pronto riscatto col terzo disco.
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