KREATOR: VIOLENT REVOLUTION
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22/07/2005“Violent Revolution” rappresenta il ritorno all’ovile dei thrasher tedeschi, accusati (in parte giustamente) di aver intrapreso una via troppo sperimentale e poco consona alla loro attitudine, che ha raggiunto il culmine con i due precedenti album, “Outcast” e “Endorama”, lavori lontanissimi dal sound peculiare del quartetto e miscela, a volte ben riuscita a volte no, di metal classico, gothic, rock ed elettronica. Acquisito un nuovo axeman in sostituzione di Tommy Vetterli (ex Coroner e a detta di Petrozza maggiore influenza nella svolta modernista), il finlandese Sami, i Kreator si mettono di buona lena e sfornano un album che senza dimenticare la lezione melodica degli ultimi anni si pone come congiunzione ideale ai primi ’90 di “Coma Of Souls”. Su una base thrash violenta e veloce come da copione la band innesta, con cautela, melodie e passaggi più intricati, ricordando più di una volta le produzioni svedesi o i Nevermore, merito probabilmente della perfetta produzione del solito Andy Sneap. L’opener “Reconquering The Throne” è una mazzata che fin dal titolo rende chiari i suoi intenti; riff veloci, tupa tupa e il ritorno della voce trapanante di Mille rendono questo brano tra i migliori dell’album, che ha in verità moltissime frecce al suo arco. La cadenzata title-track mette in risalto le eccellenti doti ritmiche di Ventor supportate da un riffing ispiratissimo, così come “Servant In Heaven – King In Hell”, mentre massacro ancora garantito con “Second Awakening”, l’inno dedicato ai fans “All Of The Same Blood”, la contorta ma affascinante “Replicas Of Life”, vero e proprio ‘resumen’ del disco…peccato che verso la fine il platter si accartocci infilando uno dietro l’altro brani tutto sommato trascurabili, privi della qualità mostrata in precedenza, anche se è evidente come i Kreator abbiano saputo riprendersi alla grande il proprio ruolo nell’ambito thrash metal. Un lavoro che farà gioire tutti i fan ormai rassegnati da “Endorama”, se si escludono gli intransigenti cultori degli anni ’80 per i quali non c’è comunque speranza.
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