IMMORTAL: DIABOLICAL FULLMOON MYSTICISM
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05/04/2005L'inizio della carriera degli Immortal è il classico esordio black metal che poteva venire dalla Norvegia nei primi anni 90, ovverosia un disco primitivo, grezzo, registrato alla buona e immensamente malvagio, e che paga un pesante tributo alle bands di fine eighties che hanno anticipato e influenzato l'intera ondata norvegese. In particolarmodo in "Diabolical Fullmoon Mysticism" si nota la pesantissima influenza dei Bathory di "Under the Sign of the Black Mark", con il riffing minaccioso di un giovane Demonaz che già si fa notare per le sue plettrate alla velocità della luce e il drumming monolitico, impreciso e violento di Armagedda. La voce di Abbath è già un trademark riconoscibile nel suo sputare violenza e rabbia costantemente e senza riserbo alcuno. Rispetto ai due successivi micidiali lavori degli Immortal, l'esordio gioca più su mid tempos aggressivi e su andature lente quando non addirittura doomeggianti e di celticfrostiana memoria: il sound è già ben riconoscibile, grezzo, marcio e gelido, ma è ben evidente la memoria del passato, a cominciare dall'assenza di blastbeat e dalla prevalenza di tempi classici della formula thrash metal. Inoltre, sono presenti enormi richiami al minimalismo degli già citati Bathory, con riff essenziali, scarni e feroci, per non parlare dei numerosi solos di sapore slayeriano in cui si lancia Demonaz. Elementi di immaturità che lasciano trasparire le evidenti influenze della band ma nulla tolgono all'importanza di un lavoro che rimane emblematico e importante (era solo il 1992 d'altronde). Il feeling è già malvagio, perverso, non ancora gelido come nei futuri lavori della band, ma già si accenna alle idee epiche/glaciali nella conclusiva "A Perfect Vision of the Rising Northland", mentre la spietata "Unholy Forces of Evil" è il brano più propriamente black metal del lotto. La splendida "Call of the Wintermoon", quasi anthemica nel suo incedere possente, è un altro classico che passerà alla storia, e degna di nota è anche la doomish "Cryptic Winterstorms", ricca di cupi e ossessivi rallentamenti che non fanno altro che colpire nel segno, ovvero fare male, molto male. Infatti il concetto cardine del black metal, cioè mettere in musica il dolore e il "lato oscuro", è già pienamente presente, anche se in maniere per così dire ancora non compiuta: riff bestiali, tempi brutali e aggressività thrash si mescolano a un feeling cupo, perverso, marcio e decadente, per quanto interrotto dai momenti che "spiccano" un po' rispetto al resto, come la già citata traccia conclusiva ad esempio. La grandezza di "Diabolical" sta appunto nell'essere un disco che esce fuori dagli eighties ma già è un manifesto del male messo in musica, una pietra miliare di un genere che allora muoveva i suoi primissimi passi. Soprattutto le grida di Abbath e le soprendenti velocità di Demonaz lasciano presagire quale sarà il futuro della band, che estremizzerà idee soltanto appena sfiorate in questo esordio, indubbiamente un disco ancora imperfetto e immaturo, ma dotato di un'intensa e irremovibile carica simbolica e di incontestabile importanza storica.
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