DOKKEN: HELL TO PAY
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29/07/2004Su "Hell To Pay", il nuovo disco in studio dei celeberrimi heavy rockers Dokken, ne ho sentite di tutti i colori. C'è chi lo incensa indiscriminatamente, chi alla fin fine lo boccia perché differente dal corso eighties della band, e c'è pure chi non lo sopporta nemmeno a priori, giudicandolo un album mediocre e privo di mordente. Voi vi chiederete da quale parte si sia schierato il sottoscritto, ma volendo dirla proprio tutta, la risposta è una, sola e semplice: "Boh"! Ho seguito i Dokken passo per passo sin dai tempi della loro reunion nel '95, memore di alcuni loro flebili ricordi ancorati alla mia infanzia, i quali mi hanno dato l'input ad apprendere per filo e per segno tutto il corso della loro carriera. Detto ciò, l'ascolto di "Hell To Pay" mi provoca, ogni volta, un mare emozioni e sensazioni differenti, sia positive che negative, il tutto dettato dall'occhio (o meglio, dall'orecchio) con cui ci si pone di fronte ad un lavoro di questo tipo. I Dokken degli anni ottanta se ne sono andati, in tutto il loro splendore, già da un bel po' di tempo, lasciando spazio ad un corso nuovo nello stile e nello spirito, allacciato alla tradizione solo grazie a momentanee e flebili escursioni compositive, capaci comunque di riportare in vita, anche se solo per pochi attimi, il fantasma di uno dei più grandi gruppi rock del pianeta. Detto ciò, risulta molto più facile dare un giudizio in merito a questo nuovo cd, suonato da un quartetto di tutto rispetto, all'interno del quale spicca il nome del drummer storico Mick Brown: sicuramente buono come lavoro in sè, forte di alcuni spunti compositivi degni di nota e di un groove di un grado sopra la media, ma altrettanto deludente per chi ancora sperava in un ritorno indietro di quasi vent'anni. I flash-back dell'epoca d'oro indubbiamente non mancano, vedi la rocciosa e ruggente "Don't Bring Me Down", ma sono più che altro fuochi di paglia su di una immensa distesa pianeggiante, cui fanno specchio i fiochi lumi del nuovo corso intrapreso da Don e soci. Capirete ora come il mio "Boh" di risposta alla domanda di apertura, magari depistante per la maggior parte di voi, sia legato da una parte al mio ruolo di recensore imparziale e distaccato, ligio al dovere di raccontarne con fare disinteressato e giudice il contenuto, e dall'altra dal fan sfegatato dei Dokken vecchio stampo, che hanno scaldato il cuore del sottoscritto per anni ed anni. Per la serie: un buon album, ben suonato ed ottimamente prodotto, ma col nome Dokken stampato sopra, un po' di amaro in bocca di certo rimane.
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