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BEHEMOTH: The Satanist

data

08/02/2014


Genere: Blackened Death Metal
Etichetta: Nuclear Blast
Distro: Warner
Anno: 2014

Non c'è sempre corrispondenza tra cali artistici e commercializzazione. Lo abbiamo visto ultimamente con i Watain e l'esempio più fulgido è il black album dei Metallica, uno dei picchi della band californiana, anche dal punto di vista melodico. I Behemoth erano nella parabola discendente della loro carriera, il pur buono 'Evangelion' non diradava le ombre sul futuro del gruppo, che anzi si sono accumulate con la leucemia di Nergal. Passato il pericolo, Nergal, in notevole ascesa di notorietà (guardate le sue apparizioni nella tv polacca), ha ben pensato di fare grande salto verso il mainstream del metal. Le premesse c'erano tutte, persino il titolo dell'album è talmente esplicito che non puoi pensare che a una provocazione plateale alla 'Antichrist Superstar'. Solo che quando manca la musica, non ci possiamo fare nulla se poi il passo è stato non solo più lungo della gamba, ma mentre eri a gambe divaricate ti hanno preso anche a calci nelle palle. Insomma, verrebbe da pensare che 'The Satanist' è tutta una parodia, che è tutto un "stamo a scherzà!". Ingenuo in alcune scelte, maturo in altre (su tutte: la voce, un continuo spettacolo satanico). Chissà quali pensieri sono passati per la mente di Inferno, uno dei batteristi più potenti della scena, quando ha deciso (o Nergal lo ha fatto per lui) di ammazzare ogni minima dinamica. Il singolo "Ora Pro Nobis Lucifer" che inizialmente ci aveva lasciato interdetti (un tiro degno dei Soulfly più rimbambiti) in fin dei conti è efficace. Sarà pure banale e sarà stato scritto in mezzora, ma almeno non è di cattivo gusto. Una virata al black per alcuni brani che hanno come motto "blast beat o morte!", si cerca di riprendere qualcosa che loro stessi avevano fatto verso 'Satanica' o giù di lì. Ma non tremano i muri, anzi, la titletrack è una cascata di liquame deforme, che nulla ha a che vedere con sviluppi di ogni genere, i Rotting Christ di metà carriera hanno fatto molto meglio, senza risultare così grigi. Strofa e ritornello sono uguali, poi alla fine parte la batteria infernale (di nome e di fatto), si attacca anche l'orchestrazione per costruire un qualcosa di magniloquente, ma la cacofonia è il solo risultato ottenuto. Le chitarre non sono mai state così classiche nel riffing e taccagne nel dispensare assoli. Una volta, quando i Behemoth rallentavano, facevano il verso ai Morbid Angel ("As Above So Below" da 'Zos Kia Cultus'), oppure a un doom death ("Lucifer" da 'Evangelion', che faceva pena). Ora il pezzo finale è epico alla Bathory, forse ascoltandolo dieci volte si riesce a dare un contenuto al disco. Si salvano inoltre "Furor Divinus" e "Messe Noire", rimasugli incredibilmente violenti di uno spirito che fu (leggasi: probabili scarti dal passato). Diamo loro un'ultima possibilità, possono ancora risultare decisivi. Recensione di Francesco Antonio Fragomeni. Voto 60 --------------------------------------------------------------------------------------- Erano in molti ad attendere al varco Nergal e la sua nuova fatica targata Behemoth: aspettative elevatissime ma anche feroci critiche pronte a scattare impietose al minimo cenno di indecisione o ristagno. Come se non bastasse, negli ultimi anni ha dovuto far fronte a problemi ben più gravi (gli fu diagnosticata la leucemia, fortunatamente debellata con grande forza e tanta fatica) che gli hanno sottratto energie ed attenzioni alla sua band. Non sapremo probabilmente mai se Nergal ha sentito addosso il peso di tali e tante pressioni. Fatto sta che l'occasione per un tonfo clamoroso era più reale che mai. E invece. E invece il mastermind del combo polacco è riuscito in men che non si dica a mettere a tacere tutti, uscendo totalmente rinvigorito (anzi, rafforzato) da questo periodo buio dando alle stampe quello che forse è il platter più completo, vario ed ispirato della nutrita discografia di questa malvagia creatura assetata di sangue. Supportato egregiamente da una produzione spaventosa (suoni micidiali e perfettamente equilibrati, pieni, potenti come non mai, dove ogni singolo strumento vive di vita propria, con particolare menzione per i micidiali suoni di basso, strumento mai così in evidenza e fondamentale nell'economia dei brani), 'The Satanist' avanza disinvolto e sicuro dei propri mezzi con giustificata supponenza e spavalderia (d'altronde Nergal se lo può abbondantemente permettere, alla luce di tale opera così come di tutta la passata produzione), trainato da una manciata di track mai così ispirate in ogni minimo dettaglio, in cui la band è riuscita a far coesistere magistralmente tutte le diverse sfaccettature maturate nel corso degli anni e aggiungendo molti spunti di novità: maggiore atmosfera, sulfurea e mai banale o soporifera, un uso più diffuso ed accurato delle orchestrazioni, funzionali alla riuscita del brano e mai invadenti, un pizzico di melodia, ipnotica e consona ai canoni del songwriting di una compagine di tale levatura, improvvisi arpeggi acustici nel bel mezzo delle sempre ben presenti sfuriate violentissime alle quali siamo ormai abituati ed assuefatti. Insomma, ce n'è per tutti i gusti e se a tutto ciò aggiungete l'innesto di partiture black metal in odor di 'Pandemonic Incantations', inserti epici riconducibili a quel capolavoro che risponde al nome di 'Satanica' ed una voce mai così varia (frequenti gli intermezzi in clean spoken), minacciosa e devastante (oltre che altamente intellegibile, dote che, a memoria d'uomo, ricordiamo essere appartenuta in passato forse solo al compianto Chuck Schuldiner) al punto da intimidire qualunque screamer/growler presente sulla scena, otterrete quello che, con ogni probabilità, diverrà il punto di riferimento estremo degli anni a venire. Evito volontariamente il classico track-by-track e lo faccio per il vostro bene e la vostra soddisfazione: fate vostro questo gioiello incandescente, alzate il volume, stendetevi al buio e preparatevi ad una esperienza totale dalla quale difficilmente vorrete far ritorno. Un capolavoro. Recensione di Jean Marc Valente. Voto 90

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