MOTHER ISLAND
Concludiamo la promozione del festival Cronache Marziane del 15 giugno al Sound Music Club di Milano con la chiacchierata ad un'altra delle tante band italiane che calcheranno il palco del Sound. Si tratta dei vicentini Mother Island, reduci da un ottimo feedback a seguito della pubblicazione del secondo album 'Wet Moon', ed ora al lavoro per l'ultimazione del terzo album. Una band che incarna blues, rock leggero, e psichedelia quanto basta per dare un sapore gradevole e stuzzicante ai momenti di relax quotidiano. Abbiamo scambiato due parole piacevoli con il chitarrista Nicolò De Franceschi, parlando della loro musica e di aspetti curiosi.
Ciao ragazzi, e benvenuti su Hardsounds.it. Sono passati più di due anni dalla pubblicazione dell’ottimo album ‘Wet Moon’. Come avete trascorso, sino ad oggi, questo periodo temporale a seguito della pubblicazione dell’album? Subito dopo l’uscita del disco siamo entrati nella scuderia Corner Soul e ci siamo dedicati principalmente alla dimensione live per promuovere 'Wet Moon', abbiamo girato intensamente per un anno e mezzo. L’idea era quella di iniziare la stesura di nuovi pezzi subito dopo aver finito le registrazioni; volevamo portare avanti in parallelo l’attività live e la scrittura di un nuovo album, cosa che ha richiesto non poche energie. Nella primavera dell’anno scorso eravamo pronti per rientrare in studio ma abbiamo avuto l’occasione di testare i nuovi pezzi lungo la costa ovest degli Stati Uniti, abbiamo quindi spostato le sessioni all’estate e siamo partiti. A luglio siamo tornati all’Outside Inside Studio e abbiamo registrato il nostro terzo LP: un lavoro con influenze marcatamente surf e spaghetti western, che dovrebbe vedere la luce nei prossimi mesi.
Potremmo definire il vostro album, come anche il precedente ‘Cosmic Pyre’ ed in generale il vostro sound, come una musica che emana una ‘tranquilla vivacità’, una psichedelia che non annoia, ma al contrario rafforza le coscienze dell’ascoltatore. Su quali di questi due versanti desiderate porvi, quello della tranquillità e della rilassatezza che si sente ascoltando la vostra musica, o quello della vivacità e della freschezza della vostra proposta? Probabilmente dalla stesura di 'Wet Moon' ad oggi ci siamo concentrati sempre di più su pezzi veloci, se così vogliamo dire - abbiamo leggermente limato la componente più marcatamente psichedelica; questo non significa che non ci sia spazio per episodi maggiormente introversi, riflessivi, dilatati. Crediamo siano importanti entrambe le componenti e ci è sempre piaciuto scrivere con una certa ambivalenza.
La vostra proposta musicale ha avuto i riscontri più positivi dentro i confini italiani, o avete avuto buoni feedback anche dall’estero? Senza voler fare discorsi scontati, crediamo ci sia un modo totalmente diverso di approcciarsi alla musica dentro e fuori Italia, è palpabile, soprattutto nella dimensione live quando la gente è lì davanti a te. Detto ciò, abbiamo quasi sempre avuto riscontri soddisfacenti, la nostra è una proposta musicale che fortunatamente ha sempre potuto contare su una certa trasversalità. Abbiamo potuto toccare con mano cosa significa suonare per il pubblico americano e l’impatto è stato forte: lì la musica si respira ovunque, è parte integrante del loro tessuto culturale; qui in Italia è un po’ diverso, per avere qualche soddisfazione è necessario ritagliarsi uno spazio all’interno di una nicchia…la musica qui (soprattutto quella underground) è roba da ‘addetti ai lavori’.
C’è un brano, secondo voi, pescato dai vostri lavori, che maggiormente rispecchia la vostra figura come Mother Island? Ognuno di noi penso ti risponderebbe in maniera diversa…potrei dirti "Electric Son": è il pezzo più longevo per quanto riguarda la nostra attività dal vivo, è sopravvissuto su tanti altri ed è sempre stato apprezzato. Un pezzo che invece rappresenta bene come ci percepiamo da dentro forse andrebbe cercato nel disco che deve ancora uscire: "Eyes Of Shadow" è una buona fotografia di quello che siamo attualmente anche se per ora la si può ascoltare solo dal vivo.
Qual è, secondo voi, il luogo ideale (che può essere un luogo geografico, ma anche un luogo interiore) che potrebbe essere definito come una Mother Island, come un luogo che è sia cuore, sia rifugio al quale appoggiarsi? Questa domanda è curiosa, abbiamo infatti sempre definito il nostro progetto come un luogo, è una metafora che è tornata spesso per parlare di quello che facciamo come Mother Island. La band per noi è sempre stata una sorta di Shangri-La, uno spazio che in qualche modo ci protegge dallo spettro della quotidianità.
Molto probabilmente, la terra dalla quale provenite (Vicenza) può essere considerata un luogo fulcro per la vostra crescita ed esperienza. E’ un luogo a cui siete ancora particolarmente legati, oppure avete dovuto fidarvi di altri orizzonti al di fuori delle terre vicentine per poter emergere? Il nostro è un territorio che amiamo, è una zona prolifica musicalmente ed artisticamente parlando, qui ci sono le nostre radici e c’è lo sfondo culturale e sociale con il quale siamo cresciuti, nel bene e nel male. I nostri orizzonti non potrebbero essersi allargati però se non fossimo andati alla ricerca di altro, le nostre influenze si irradiano nello spazio e nel tempo, così come le nostre esperienze si sono arricchite misurandosi con quello che c’è oltre Vicenza.
Tra le varie influenze che citate, sono presenti figure che vanno dai Beatles a Pasolini, dagli Stooges ai Radiohead, toccando anche Charles Manson. C’è un fattore comune che racchiude le vostre influenze? E ci può essere un brano vostro che sarebbe stato perfetto se fosse suonato da una delle vostre influenze, e da chi principalmente? Non per forza si trova un fattore comune all’interno delle nostre influenze, sono semplicemente figure che hanno avuto un impatto imprescindibile da ciò che facciamo, per i motivi più disparati. Sarebbe curioso sentire un nostro pezzo suonato da una delle nostre influenze, tu a chi daresti l’ingrato compito?
Quali sono i paragoni maggiori che avete ricevuto da appassionati di musica, critici ed addetti ai lavori? C’è stato qualche paragone ricevuto al quale avete pensato che non centri proprio nulla? I paragoni che sentiamo più spesso sono quelli che riconducono il nostro sound ad artisti della golden era del rock’n’roll e questo solitamente ci fa piacere, uno dei principali intenti quando è nato il progetto era quello di metterci proprio tutte quelle influenze che arrivano da lì, se viene percepito significa che la direzione è quella giusta. Non mi viene in mente nessun paragone bizzarro, mi piacerebbe sentirne qualcuno.
Secondo la vostra proposta musicale, e valutando la vostra esperienza live, qual è la location ideale per suonare la vostra musica e che rispetti appieno la vostra attitudine? Ci sono molte variabili che influiscono la percezione di una venue, e alcune prescindono dal luogo di per sé; alcuni spazi in cui abbiamo suonato ce li portiamo nel cuore per la loro ‘attitudine’ speciale: l’Elbo Room di San Francisco, il Cox18 di Milano, il GB20 di Montepulciano, il PMK di Innsbruck, il Morion di Venezia per dirtene alcuni…un posto che incarna alla perfezione un ambiente in cui ci sentiamo Bene è il Nowhere Club, un posto che non c’è, sperduto nella campagna modenese, una location dove si respira un’aria d’altri tempi e nella quale si ritrova di tanto in tanto una family…è bellissimo passarci il tempo e suonarci.
Sarete anche voi partecipanti alla nuova edizione delle Cronache Marziane, assieme a molti vostri colleghi italiani che supporteranno i Radio Moscow. Avete avuto già modo di incontrarvi in passato sul palco? E in generale, un evento come questo può dare un impulso importante alla dimensione musicale underground italiana, da anni in bilico tra qualità elevata dell’offerta musicale e reazioni tiepide da parte della domanda, oltre ad una oggettiva difficoltà nel trovare luoghi idonei gestiti in maniera competente dove suonare? Abbiamo già avuto modo di condividere il palco con i Giobia, fin da subito ci ha legato un rapporto di stima reciproca. Ci fa sempre piacere sapere che suoneremo assieme a loro! Le nostre aspettative per questo appuntamento sono sicuramente positive, abbiamo molta voglia di salire sul palco di Cronache Marziane. Ogni realtà come questa può dare input importanti per la crescita dell’underground italiano anche se, come dici tu, a dettare le regole spesso è la domanda e non viceversa.
Inoltre, in quella serata suoneranno band che si fronteggiano al pubblico con forti personalità femminili, diverse l’una dall’altra. Siete convinti, come me, che componenti femminili brave e preparate possa dare quell’input ulteriore per impreziosire la vostra musica? La nostra band nasce in realtà con una formazione interamente al maschile. Una volta che il cantante ha lasciato l’Italia ci siamo trovati a doverlo sostituire proprio quando il progetto iniziava ad ingranare, volevamo star fermi il meno possibile e non avevamo idea di chi avrebbe potuto prendere il suo posto. Quando, poche settimane dopo, ci siamo trovati a vedere Anita sul palco è bastato poco per capire che la sua voce e la sua presenza avrebbero dato quello che serviva per andare nella direzione che avevamo in testa, l’impatto per noi è stato forte e abbiamo cercato subito di coinvolgerla.
Cercate quindi di porre al centro di tutto la voce particolare e seducente di Anita, come sembra trasparire dall’ascolto degli album, o i brani sono costruiti in modo tale che ciascuno si senta fortemente parte integrante del progetto, e che ciascuno venga equamente esaltato? La voce ha sicuramente un ruolo fondamentale nel nostro sound, anche se ogni scelta creativa viene messa al servizio del singolo brano, dipende tutto da cosa richiede quella canzone. La voce di Anita e la parte strumentale hanno bisogno vicendevolmente l’una dell’altra per emergere.
Per concludere, provate a convincere un ascoltatore che non conosce la vostra proposta a cercare di porgere un orecchio verso il vostro sound? Non ne saremmo capaci, diciamo che non è pienamente nel nostro stile.
Commenti