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DISH-IS-NEIN

A distanza di otto anni dal disco d’esordio della nuova incarnazione dei Disciplinatha ed a quasi tre dalla scomparsa del chitarrista Dario Parisini, i bolognesi Dish-Is-Nein hanno ancora tanto da comunicare sia verbalmente, sia attraverso la musica; il trasformismo del nuovo lavoro lo certifica. Ne approfittiamo per porgere alcune domande...

Quale la principale differenza compositiva rispeto a quando c'era Dario Parisini? La scelta di scrivere brani per un nuovo album senza le chitarre di Dario ha inevitabilmente richiesto un approccio diverso nella ricerca e nell’utilizzo di elementi differenti che andassero a caratterizzare il sound. Da qui la scelta di un uso massivo di elettronica, soprattutto nella sua accezione più noise e glitch oltre che ritmica; ho lavorato davvero molto per integrare ritmiche sintetiche con le batterie “vere” di Justin. Poi tanto spazio ai bassi di Roberta, con un sound spesso distorto e comunque molto presente. Anche le voci sono state ragionate, a livello di suono, quasi fossero uno strumento, con un evidente lavoro di effettistica per caraterizzarne l’impatto sul sound globale.

Come siete passati dalla Contempo Records alla Overdub? Questo nuovo album volevo fosse per vari motivi uno stacco col passato. Conosco Marcello, il responsabile di Overdub, da molti anni. Quando mi ha contattato chiedendomi se fossimo interessati a lavorare con loro per il nuovo lavoro ho pensato subito che i tempi fossero maturi per un cambio di label, sopratuto perché Overdub ci avrebbe messo a disposizione il proprio ufficio stampa, cosa che purtroppo è sempre mancata a Contempo Records, con tutte le evidenti problematiche del caso, annesse e connesse.

Avete già effetuato alcuni live per la presentazione del nuovo disco. Quale la reazione del pubblico e perché è saltata la data romana? Abbiamo presentato 'Occidente – A Funeral Party' in esclusiva al Teatro Fabbri di Vignola (MO), serata organizzata insieme al Circolo Ribalta che non finirò mai di ringraziare per il supporto e l’aiuto che ci hanno dato. È stata una serata unica e probabilmente irripetibile, per come è stata pensata ed eseguita, per gli ospiti che ci hanno onorato con la loro presenza, il Coro Monte Calisio in primis, ma poi Sergio Messina, Federico Bologna, Renato Mercy Carpaneto e Stefania D’Alterio degli IANVA: è stato epico. Roma purtroppo è saltata per un serio problema di natura tecnica che ha reso inagibile la location. Le altre due date sono andate bene, quella a Taranto in modo particolare. Erano circa trent’anni che non suonavamo al sud, ed è venuta gente che ci aveva visto ai tempi, cosa che ovviamente ci ha fatto un enorme piacere. Ma in generale, l’affetto e l’attenzione che ci è stata dimostrata sono stati davvero appaganti ed emozionanti.

Le liriche sempre taglienti, pensate ed attuali, mettono il dito nelle piaghe della nostra società. Avete spostato il target dal geopolitico all'omocentrico? In realtà credo che le due cose siano profondamente interconnesse: l’occidente esiste come entità geopolitica, frammentata e divisa a più non posso, ma pur sempre “entità”. Poi ci sono i burocrati atlantisti, persone (se così si può dire), in ultimo c’è il popolo, trasversale, diviso e divisivo, succube ma insofferente, pacificato, ma pronto a spaccarti la faccia per una precedenza non data. Soffriamo un livello di disagio che non ha uguali nella storia recente, ma pure in quella passata. Ma soprattutto, come dicevi tu, siamo totalmente concentrati sul nostro io, poco inclini all’empatia per il prossimo, con un senso di “comunità” di fatto non pervenuto, se non fosse per quelle manifestazioni filoguidate dove basta esserci pur non sapendo bene il senso della parola “esserci”. Molto tempo fa qualcuno di molto illuminato scriveva “ciascuno di noi è uno, nessuno, centomila”. Le nostre liriche sono uno specchio della desolazione che ci circonda. Potremmo cantare di figa, birre e panini, di inclusività da libro cuore, di finto buonismo per animi delicati, ehm, di cuoricini. Probabilmente avremmo un seguito ben maggiore di quello che non abbiamo, ma in questa vita ci escono così. Divisivi. Sempre.

Trasversalmente si odono echi dei Nine Inch Nails e Skinny Puppy, possono essere considerate un'influenza o derivano dalla presenza di Justin Bennet? Come siete entrati in contato con lui? Con Justin ci conosciamo da circa vent’anni. Lui aveva già suonato anche nel primo EP dei Dish-Is-Nein, ma non credo che la sua lunga militanza negli Skinny Puppy abbia condizionato il sound dell’album figlio, invece, della “somma” di influenze differenti mie e di Roberta. Poi è ovvio che dentro ci stiano anche le band che tu hai citato, ma a dire il vero le contaminazioni sono decisamente più ampie e variegate. Detto questo, sono davvero felice di aver nuovamente lavorato con Justin per il nuovo album, e soprattutto di averlo avuto sul palco con noi per questi primi concerti (e per quelli che seguiranno) perché è un batterista fenomenale ed una bellissima persona.

Cosa ne pensate della deriva totalitarista che sta prendendo l'Europa e di conseguenza l'Italia? In tutta sincerità non credo che il “problema” sia questa presunta deriva, il problema reale è che in questa alternanza di ideologie che vanno per la maggiore, sia destrorse che sinistrorse, vedo sempre e comunque una profonda sudditanza nei confronti della statua con la Stielhandgranate 24 in mano e dei suoi compagni sionisti che pensano che, per un lascito divino, di potere inopinatamente radere al suolo una terra non loro ed il popolo che la abita sicuri della loro impunità. La perdita di memoria storica giustifica ogni nefandezza.

Cosa è successo nel passaggio alla Dischi Del Mulo di Ferretti e Zamboni che ha caraterizzato il cambio repentino di sonorità rispeto al passato? Scelta stilistica o linea suggerita dalla casa discografica? Guarda, lungi da me l’idea di essere scontroso o nebuloso, ma stiamo parlando di cose che riguardano un’altra band (Disciplinatha) ed un altro secolo. Trovo quindi questa domanda poco attinente con il presente, con quello di cui mi interessa parlare ora, il nuovo progetto. Il passato è andato, e lasciamolo li dov’è.

Come mai avete scelto di fare una cover di un brano dei Beatles? E perché avete citato Jovanotti e Lucio Battisti nei testi? In realtà l’album è ricco di citazioni oltre a quelle da te indicate: a me piace molto “giocare” con questi elementi, cosa che abbiamo sempre fatto fin dai tempi dei Disciplinatha. Nello specifico, l’uso di un pezzetto di testo di uno dei brani più popolari di Lucio Battisti, qui “svestito” da qualsiasi valenza amorosa, vuole essere un interrogativo sul conceto di identità di nazione, sospesa com’è tra una completa dissoluzione ed una presenza sempre più labile. Jovanotti, che negli anni è comparso spesso all’interno delle nostre narrazioni (vedi ad esempio il finale di Toxin”), rappresenta, dal mio punto di vista, un ottimismo superficiale, ottuso, scollato dalla realtà che ci circonda. Ovviamente la citazione utilizza frasi del testo per sovvertirne il vacuo significato. Mi chiedi perché fare una cover dei Beatles? Beh, in primis perché sia io che Roberta li amiamo, quindi quando le ho proposto una loro cover, lei ha accettato subito con entusiasmo. Personalmente, da sempre, amo fare cover profondamente rivisitate. In questo caso mi piaceva l’idea di sovvertire, con un’adeguata reinterpretazione musicale, il senso di fuga dalla realtà come esperienza liberatoria, che qui invece diventa trasgressione programmata e controllata, perfetamente in sintonia con il concept dell’album quindi.

Volete aggiungere qualcosa? Prima di tutto lascia che ti ringrazi per lo spazio che HardSounds dedica al nostro progetto. Dish-Is-Nein è una realtà di nicchia nella triste scena musicale italica, quantomeno quella che asserve le più becere logiche di mercato, mi riferisco alla “scena” indie ovviamente. Avere spazi per “mostrarsi al mondo” è quindi sempre più complicato, ma rimane possibile grazie a realtà come la vostra. Mi permetto poi di fare un piccolo appunto alla prefazione di questa intervista, dove tu parli di “trasformismo del nuovo lavoro”. A seconda dell’accezione del termine, lo stesso si può intendere positivamente (ad es. trasformismo teatrale) o negativo (trasformismo politico), quindi potrebbe suonare un po’ ambiguo. Noi, Disciplinatha prima e Dish-Is-Nein poi, abbiamo sempre dimostrato una certa lucidità, lungimiranza oserei dire, che ci ha portato a scrivere del presente immaginando un futuro che arrivava poi a manifestarsi nel modo in cui noi lo avevamo immaginato.

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