THE WIZAR’D: Subterranean Exile
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08/05/2020Direttamente dagli antipodi del globo terraneo e precisamente dalla terra dei canguri, tornano a farsi sentire i The Wizar'd, quartetto che aveva fatto perdere un po' le proprie tracce negli ultimi anni. Infatti dopo l'ultimo LP 'Ancient Tome of Arcane Knowledge' datato 2013 e che ebbe buoni riscontri dalla critica di settore, il gruppo sembrava essersi eclissato per ritornare solo ora con quest'ultimo lavoro intitolato 'Subterranean Exile'. La compagine australiana fautrice di quelle sonorità occulte che affondano le loro radici del doom primigenio non tradisce le aspettative di chi li aveva ascoltati e apprezzati in passato. Le sette composizioni che formano questo platter risultano piuttosto eterogenee e niente affatto monotone mantenendo però una propria coerenza che non viene tradita. La componente epica è sicuramente un leitmotiv del combo che viene subito fuori nella opener e omonima traccia "Subterranean Exile" che ha un riffing incalzante che rimanda molto alla tradizione NWOBHM. Di altra pasta sonora invece "Wizard's Revenge", brano nel quale si avvertono maggiormente le influenze doom e i ritmi più cadenzati che costituiscono il nucleo caldo e il carattere fondamentale dei The Wizar'd. L'impalcatura sabbatica, lenta e cantilenante è quella sulla quale si erge anche l'invocazione mortifera innalzata dall'antemica "Long Live the Dead" che poi evolve in una cavalcata epica dai ritmi più serrati. Lo stesso schema e la stessa alternanza di stili e sentimenti è riscontrabile anche in "Dark Forces" che inizia malinconica e pachidermica nei suoi bpm dilatati che creano una sensazione di sospensione nell'ascoltatore e che preparano l'orecchio allo scatto di eroico orgoglio nel quale le chitarre si lanciano in scorribande di sature distorsioni sulle quali insistono i soli di chiara matrice heavy metal albionica. Prima della strumentale "Ecstatic Visions Held Within The Monastic Tower" che ha il compito di spezzare il ritmo del disco e calare l'ascoltatore in una dimensione ben più tragica e claustrofobica, dove la fanno da padrone le note cupe di una chitarra acustica ben riverberate, troviamo "Master of the Night" che rappresenta probabilmente il punto di epicità più alto espresso dal quintetto. Il brano suona come una marcia bellica che ricorda le composizioni dei Manilla Road, in particolare "The Veils of Negative Existence", anche e soprattutto per la timbrica vocale "sgraziata" e sardonica di Ol’ Rusty. Tutte queste caratteristiche elencate, unite ad una produzione cavernosa e dalle sonorità vintage, rendono questa release particolarmente invitante per gli eterni nostalgici.
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