RAMMSTEIN: Zeit
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13/05/2022A tre "soli" anni di distanza dal precedente multiplatino album, tornano i bestelleristi berlinesi con l’ottavo disco della loro pluridecennale storia, ideale seguito dell’album senza titolo che ha portato la band direttamente in cima a quattordici classifiche internazionali nel 2019, dopo il più lungo intervallo mai intercorso tra due lavori nella loro carriera. Lindemann e sodali partoriscono l’ennesimo monolito sonoro, sicuramente gotico, spesso claustrofobico, dove i testi, rigorosamente in tedesco come da tradizione, ingranano alla perfezione su di una base di pura e dura Neue Deutsche Härte. Anche la copertina dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, quale sia la profusione di forze dispiegate per la resa complessiva del prodotto finale, ritraendo la band sul Trudelturm di Berlino (foto ad opera di Bryan Adams) mentre la produzione, anch'essa superlativa, è ancora una volta nelle sapienti mani del produttore berlinese Olsen Involtini. Ad aprire le danze troviamo il bellissimo "Armee Der Tristen", pezzo marziale avvolto da una mestizia raggelante dove un substrato di opprimenti chitarre ed algide tastiere sfocia in un coro pregno di fosca melodia. I tempi si fanno finanche più grevi nelle successive "Zeit", apologia del tempo molto peculiare, accompagnata da un gran video musicale in cui la vita si contrappone alla morte e la guerra a bucolici paesaggi e "Schwarz" (nero) che partendo con un dolce pianoforte ed un salmodiante Lindemann funge da perfetta prosecuzione della titletrack, attraverso atmosfere apparentemente calme eppure maestose. "Giftig" riporta il ritmo sulle piste da ballo mentre "Zick Zack", che pare preso a prestito dalla scaletta di 'Reise Reise', si prende gioco della chirurgia estetica tutta e sembra dileggiare chiunque non riesca ad accettare lo scorrere del tempo attraverso un ritornello assai radiofonico. "OK" non è una canzone in cui i Rammstein esprimono il proprio assenso, bensì un inno all'amore libero da ogni protezione (Ohne Kondom, senza preservativo...) e fa da preludio ad una coppia di pezzi di tutt'altro tenore ed umore, "Meine Tränen", lugubre ballata molto teatrale e "Angst" che, fedele al suo nome (Rabbia), esprime il proprio animo pugnace con una cadenza per lo più bellica dettata da un suono di chitarra ipercompresso. Si cambia di nuovo registro con la non proprio convincente "Dicke Titten" (grandi tette), in cui un ritornello anche troppo arioso fa da contraltare a riff ruggenti, il tutto impastato ad una marcetta stile fiera bavarese; al contrario ben più sofferta si mostra “Lugen”, ammaliante nell'alternanza fra strofe sospirate ed un refrain martellante e possente. Cala il sipario con "Adieu", sorta di profetico e coerente commiato visto che tutto è soggetto allo scorrere inesorabile del tempo, anche la band stessa e, pertanto, sembra quasi naturale salutare il pubblico per mezzo dell'ispirato coro multilingue "Adieu, Goodbye, Auf Wiedersehen". La speranza, però, è che 'Zeit' non rappresenti davvero un ultimo saluto, perché ancora la luce che illumina il percorso musicale del combo germanico non pare essersi spenta, anzi...
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