DOOMSWORD: MY NAME WILL LIVE ON
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22/07/2007Sono passati quattro anni dall'uscita dell'ultimo album dei Doomsword, vale a dire quel capolavoro che risponde al nome di Let Battle Commence. Quattro lunghi anni di silenzio quasi assoluto, dal quale sporadicamente emergevano voci di corridoio vaghe e spesso contraddittorie sull'attività della band varesina. Il trasferimento del singer Deathmaster in Irlanda ha certamente rallentato i lavori e praticamente azzerato l'attività live, tanto che i molti fans della band cominciavano seriamente a chiedersi quale sarebbe stato il futuro della band. Finalmente, all'inizio di quest'anno, le prime notizie ufficiali: i Doomsword sono vivi e vegeti, il nuovo disco è pronto e uscirà in estate. Molti di noi hanno tirato un sospiro di sollievo e si sono messi pazientemente in attesa che arrivasse la fatidica data di uscita (poi fissata al 22 giugno) di un disco tanto, troppo a lungo atteso. Eccoci, il 22 giugno è arrivato: quello che ho fra le mani è "My Name Will Live On", il nuovo disco dei Doomsword. Ho ritenuto necessario procedere a questa premessa per far capire a chi legge con quanta curiosità e con quante aspettative io, come qualunque fan dei Doomsword, attendessi questa release; e quando l'attesa è così lunga le aspettative crescono esponenzialmente, tanto che spesso capita di dover poi subire una cocente delusione (chi ha detto Metallica?). Bene: posso dire fin da subito, senza tanti giri di parole, che "My Name Will Live On" non ha assolutamente deluso le mie aspettative. Anzi. Quello che mi trovo fra le mani è un ottimo disco, probabilmente quanto di meglio potesse uscire da quattro anni di lavoro. Ci sono bands che fanno patire ai fans attese anche decennali per poi sfornare un prodotto mediocre o addirittura pessimo. I Doomsword no: se si prendono il loro tempo vuol dire che c'è una ragione, che il disco abbisogna di maggiore cura e preparazione prima di essere presentato al pubblico; se tale cura deve durare un anno, o quattro anni, o dieci anni, non ha importanza. Che senso avrebbe, infatti, uscire a un anno di distanza dal precedente album con un lavoro mediocre o comunque poco curato? Non converrebbe, invece, soffermarsi più tempo a ponderare e a riflettere sul proprio lavoro? I Doomsword hanno scelto questa seconda possibilità , e personalmente non posso fare altro che essere d'accordo con la loro scelta. Passando all'analisi del disco in sè, sono due le cose che si notano maggiormente già ad un primo ascolto: 1) innanzitutto la cura riservata agli arrangiamenti dei pezzi: anche i brani meno riusciti (sempre che ce ne siano) sono oggettivamente arrangiati in modo splendido, con linee di chitarra che si sovrappongono alla perfezione, un tappeto ritmico potentissimo e grande attenzione dedicata alle parti vocali (non solo alla prima voce, ma anche alle backing vocals). Qui si ritorna a quello che dicevo in precedenza: al di là dei gusti personali (il disco può piacerci o meno), bisogna comunque riconoscere che il lavoro della band è stato estremamente professionale e attento ad ogni singola sfumatura dei pezzi. 2) In secondo luogo, è impossibile non notare che, rispetto agli altri lavori della band, in "My Name Will Live On" c'è qualcosa di diverso. Certo, sono sempre i Doomsword: il sound che il gruppo ha elaborato in questi dieci anni di carriera è estremamente personale e riconoscibile, e questo disco non lo stravolge sicuramente; ma qualcosa di diverso c'è e si sente. E' la capacità della band di re-inventarsi e di rinnovarsi, senza per questo essere costretti a cancellare quanto di buono è stato fatto nei passati dieci anni; la capacità di ri-elaborare il proprio stile quando tutti ormai credevano che sarebbe uscito il "solito" disco dei Doomsword; la capacità di non adagiarsi sui fallaci allori del successo, tentando così di continuare il discorso intrapreso senza bisogno di ripetere quanto già detto. In parole povere: meno vichinghi e più Conan, meno viking e più heavy metal. Detto questo, rivolgiamoci all'analisi dei brani presenti su "My Name Will Live On". Il primo pezzo è la cadenzata Death Of Feria, che svolge perfettamente l'ingrato compito di opener, introducendo l'ascoltatore nell'atmosfera giusta per l'ascolto del resto del disco; possiamo così fin da subito notare la bellezza degli incroci chitarristici dei due axemen The Forger e Sacred Heart, nonchè apprezzare la maestosità della voce del singer Deathmaster. E' invece una splendida chitarra acustica ad aprire Gergovia, che non fa altro che confermare le già ottime impressioni suscitate dalla opener; segue poi la stupenda Days Of High Adventure, caratterizzata da ritmi più sostenuti e da melodie incredibilmente emozionanti: forse il pezzo del disco che preferisco. Ecco poi arrivare Steel Of My Axe, un pezzo veloce vicino tanto ai Manowar più "on speed" quanto ai Savage Grace più epici: un episodio più unico che raro nella discografia della band, ma visti i risultati si tratta certamente di un esperimento da ripetere. Le successive Claidheamh Solais e Thundercult ci riportano invece al consueto "Doomsword style", con i loro ritmi cadenzati e le loro inconfondibili linee di chitarra; Luni e Once Glorious sono invece, se possibile, ancora più epiche, cupe e oscure delle precedenti: si tratta di due pezzi semplicemente splendidi, che non mancheranno di emozionarvi sin dal primo ascolto; in chiusura la battagliera The Great Horn, degna chiusa di un disco che si candida a pieno titolo ad entrare nella top-5 dell'anno di qualunque heavy metal fan. Un album bellissimo, che dimostra a tutti che i Doomsword sono vivi e vegeti ed hanno ancora parecchio da dare all'heavy metal. Possiamo senz'altro dire che sono stati quattro lunghi anni, ma l'attesa è stata ripagata.
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