THE BLACK CRUSADE
Un evento come il Black Crusade non capita certo tutti i giorni, vista la line-up di band coinvolte. E’ quindi un Alcatraz ben popolato fin dal primo pomeriggio che accoglie la carovana metallica più entusiasmante dell’anno, pronto a ricevere una corposa dose di metal moderno in tutte le sue forme. Gli SHADOWS FALL salgono sul palco mentre ancora molte persone stanno entrando, ma i primi metri davanti al palco sono già riempiti e la gente salta ed acclama la band soprattutto per merito del frontman Brian Fair, ben sostenuto da suoni ottimi e da musicisti di prim’ordine, soprattutto il chitarrista Jon Donais. Nel pochissimo tempo a loro disposizione i nostri sciorinano quel che possono: “Failure Of The Devout”, “The Light That Blinds”, la conclusiva “Redemption” confermano la classe della band, che speriamo di vedere più spesso in Italia. Tocca agli ARCH ENEMY sferrare il successivo attacco sonico, consci della infelice posizione in scaletta che concede solo mezz’ora alla band dei fratelli Amott. Si inizia subito bene con “Blood On Your Hands” (eseguita però molto più lenta che su disco), e rivedere sullo stesso palco Chris e Michael ha procurato più di un biribrividino al sottoscritto, e spero anche ad altri. La scaletta è per forza di cose concentrata sugli ultimi dischi, favorendo le hit da video come “Nemesis” e “We Will Rise”, ma personalmente avrei ascoltato per ore i duelli solisti dei due axeman svedesi. Una performance brevissima, forse troppo, che però è stata una conferma tutto sommato prevedibile. ARCH ENEMY setlist Blood On Your Hands Ravenous My Apocalypse Nemesis We Will Rise Fields Of Desolation Enter The Machine (outro) L’accoglienza riservata ai DRAGONFORCE ha, come facilmente immaginabile, spaccato a metà l’audience. Dopo un’intro simpatica e molto autoironica, la band inglese fa il suo ingresso sul palco e comincia a suonare i soliti brani degli Stratovarius a 45 giri; il fatto è che, dopo averli già visti una volta, ho cominciato ad annoiarmi già alla prima canzone, nonostante riconosca a Li e compagni le dovute qualità. Gli assoli di Herman e Sam sono sbalorditivi e i due li eseguono come acrobati sulle funi, ma cinquanta minuti di Dragonforce, almeno per il sottoscritto, sono davvero troppi da digerire (“Through The Fire And The Flames” esclusa). Divertenti, bravi, ma sulla sottile linea che separa il ridicolo dall’intrattenimento; anche se più ridicoli sono stati senza dubbi i lanciatori di carta igienica e chi urlava ‘tornatevene a casa’, i quali spero si rendano conto che in questo momento la band se la spassa anche con i loro soldi. Il locale milanese è ormai pieno, e gli affermatissimi TRIVIUM vengono aspettati con ansia un po’ da tutti, grandi e piccini. Il solito palco sborone non intacca la bravura della band, che inizia a razzo con “To The Rats”, al termine della quale Travis ha un problema con il suo drumkit. Encomiabile Heafy che riesce ad intrattenere per tutto il tempo necessario l’audience, improvvisando anche una versione ‘a cappella’ di “Symphony Of Destruction”. Corey ha finalmente uno scream degno di questo nome, a servizio di brani che ormai conoscono pure i sassi; peccato per la scaletta, che ha privilegiato pezzi forse evitabili come “Becoming The Dragon” e lasciato fuori “Like Like To The Flies” e “Detonation”. Una prova maiuscola, anche prevedibile se vogliamo (‘this is a thrash metal song’, ‘bang your head’, ecc), ma quasi al netto di difetti, se escludiamo i baffi di Paolo Gregoletto. TRIVIUM setlist To The Rats Fugue (A Revelation) Entrance Of The Conflagration The Deceived A Gunshot To The Head Of Trepidation Becoming The Dragon Anthem (We Are The Fire) Rain Pull Harder On The Strings Of Your Martyr Una scenografia clamorosa (diciotto casse per chitarra a formare lo storico logo, ai due lati del palco), accolta subito con un boato dal pubblico, faceva già presagire quanto di meglio dai MACHINE HEAD. E sulle note di “Clenching The Fists Of Dissent”, si capisce che sarà un concerto di quelli clamorosi (anche se c’è un ‘ma’. Continuate a leggere…). Band in palla, suoni che più perfetti non si può, pubblico in visibilio; una performance addirittura superiore a quella di Trezzo di quest’estate, nonostante la scaletta sia pressochè identica; prima di “Aesthetics Of Hate” Rob raccoglie dalla prima fila uno striscione in memoria di Dime, con Demmel che durante il finale lo indica e punta il dito in alto. Indimenticabile. Tutto grandioso, già mi immagino il momento in cui scriverò ‘concerto dell’anno’ in preda a orgasmi multipli, ma… ma, durante la prima strofa di “Descend The Shades”, si ode una strano rumore e Duce che si precipita dalla parte opposta del palco fa capire che è successo qualcosa. Phil Demmel è svenuto a causa dell’influenza (intervistato da me il pomeriggio mi aveva confermato che non stava affatto bene, ma sul palco si stava comportando come se fosse nel pieno delle energie. Un professionista), e sebbene Flynn appaia una prima volta sul palco a dire che ‘potremmo tornare, non lo sappiamo ancora’, quando si rifà vivo insieme a Adam e Dave è chiaro che il concerto non potrà proseguire. Un peccato, ma non ci si può fare niente, se non sperare che Phil si riprenda (cosa che fortunamente è accaduta, anche se il giorno dopo il chitarrista ha ricevuto la notizia della morte del padre) e tornare mestamente a casa. Machine fuckin’ head. MACHINE HEAD selist Clenching The Fists Of Dissent Imperium Aesthetics Of Hate Old Halo Take My Scars Descend The Shades Of Night
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