SAXON
Strano connubio, due gruppi del genere: Inghilterra ed America, scuola Classica della New Wave e contaminazioni Thrash, Saxon ed Iced Earth. Alla notizia del tour non sono state poche le perplessità: non si capiva bene, in effetti, cosa avessero le due bands da dire, messe insieme. Ciononostante sono arrivate, hanno suonato, ed il pubblico c'era ed ha risposto. Non abbiamo assistito ad un sold out, è vero, ma il Rolling Stone è bello pieno, ed i fans sono caldi e partecipi. ICED EARTH Saltato l'opener, le danze le aprono gli Iced Earth, che portano una setlist da un'ora e un quarto che spazia attraverso tutta la discografia, dai grandi classici di vent'anni fa agli ultimi, più melodici lavori. Ed è un Barlow in gran forma quello che lancia staffilate vocali dal palco: orfano della lunga (e rada) chioma rossa, il nostro poliziotto ha ancora delle corde vocali pazzesche (segno che davvero cantare nel coro della polizia non gli ha fatto scordare cosa sia un concerto Metal), e ne dà grande prova. La band è compatta, anche se è facile notare quella sottile differenza, come se fossero impercettibilmente separati, tra Schaffer, il redivivo Barlow, e tutti gli altri; d'altra parte i cambi di formazione nel gruppo sono ormai innumerevoli, e già non considerare gli Iced Earth una “one man band” con ospiti è un gran risultato. Schaffer si muove poco come sempre, a maggior ragione da quando ha dovuto farsi operare alla schiena, ma d'altra parte nessuno ha mai detto che sia obbligatorio correre avanti e indietro per il palco, quindi la sua statuaria presenza, immensa ed immota regia della band, risalta e si apprezza senza riserve. La scelta del repertorio è variegata, si diceva, e sebbene molti condividano con il sottoscritto la preferenza per l'epoca “pre-Glorious Burden”, è anche evidente che i lavori recenti del combo americano hanno saputo attirargli nuovi fans, entusiasticamente partecipi dei pezzi più recenti. Poco spettacolo, molte luci, musica in netto miglioramento dalle prime canzoni (i suoni iniziano in maniera decisamente deludente) a seguire: uno show essenziale e convincente, adrenalinico al punto giusto, che fotografa una band in ottimo stato di salute. Si apprezza la setilst “lunga”, e si intravedono le potenzialità per un nuovo tour da headliner, magari come quello splendido, storico spettacolo da tre ore, proprio al Rolling Stone, per la promozione di “Horror Show”. Alla prossima! SAXON Biff e compagni: una certezza, la Storia del Metal che sale su un palco da ormai trent'anni, sempre con la stessa convinzione, lo stesso carisma, un pubblico in costante crescita. Tre generazioni di fans che urlano e cantano a squarciagola pezzi che, per buona parte di essi, sono stati scritti prima della loro nascita. Non è semplice descrivere l'atmosfera creata dai Saxon, soprattutto quando decidono di giocare “i carichi” e buttano lì, con nonchalance, pezzi che mancano on stage da anni immemorabili. C'è un disco da promuovere, e come è giusto a questo viene dedicato ampio spazio; ma nell'ora e mezza di show si corre avanti ed indietro per un trentennio, “buttando lì” pezzi che non sono semplici chicche, ma vere e proprie granate che esplodono in mezzo alla platea. Dopo lo speciale contenuto sul DVD dell'ultimo disco riusciamo anche ad apprezzare appieno lo sforzo del tecnico luci, che dipinge una coreografia psicologicamente grandiosa, fusa con la musicalità dei pezzi in maniera ben più profonda di quanto si potrebbe altrimenti immaginare. I suoni sono buoni fin dall'inizio, e migliorano sensibilmente verso la metà dello show, e la band è un rullo compressore di una compattezza ed una professionalità encomiabili. E' evidente come il passare degli anni non abbia affatto ossidato la formazione, ma l'abbia invece cementata in unità e mantenuta elastica e giovanile nella performance: dei ragazzini di cinquant'anni, ecco chi c'è sul palco. Ed è splendido vedere come questi ragazzini cinquantenni abbiano stabilito un legame incredibilmente forte con ragazzini dai quindici ai cinquant'anni, tutti lì sotto il palco a salutarli e partecipare al loro concerto, che in Italia è sempre un gradito “ritorno a casa”. Non una di quelle band che a volte “si degnano” di calcare il nostro suolo, ma dei veri e propri “Italiani honoris causa”, riaccolti con calore al ritorno da un viaggio. Bentornati, ben ripartiti, in bocca al lupo per tutto, e ci vediamo la prossima volta che starete “Comin' Home”...
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