MACHINE HEAD
Ogni volta che i Machine Head passano in Italia è un po' un evento, visto il loro status ormai di paladini del metal moderno che piacciono a "grandi e piccini", e visto soprattutto il nuovo album ‘Bloodstone & Diamonds’ che risulta l’ennesima gemma di una serie intoccabile. Purtroppo il giorno infrasettimanale e il traffico meneghino hanno minato leggermente l’affluenza, soprattutto per i primi due gruppi, ma ora degli headliner l’Alcatraz risultava bello pieno. Ad aprire la serata ci hanno pensato i belga DIABLO BLVD, che sostituiscono i Devil You Know (dei più celebri Francesco Artusato e Howard Jones). Nonostante la band sia sconosciuta a tutti i (pochissimi) presenti, l’heavy rock di stampo Volbeat del combo risulta vincente in impatto e melodia, e riesce a strappare ben più di un applauso di cortesia. Si vede che i Diablo hanno calcato diversi palchi, la presenza scenica è quella dei professionisti e tra una ballad e un pezzo veloce i cinque nordeuropei hanno senza dubbio guadagnato un manipolo di nuovi fan. Promossi, peccato solo per i suoni che penalizzavano non poco la voce. Ormai dei professionisti pluriennali, i DARKEST HOUR salgono sul palco in pochi minuti e partono a razzo con "Wasteland". Si vede che i nostri sono in palla, saltano, si muovono di continuo e il tutto senza mai sbagliare una nota. Il nuovo drummer Travis Orbin si rivela perfetto con la sua batteria minimal (senza tom ma con due hi-hat!), e tutti quanti si districano con abilità in una scaletta bilanciatissima, che pesca praticamente da tutta la discografia degli statunitensi, dedicando un po’ di di spazio, come prevedibile, all’ultima fatica 'Darkest Hour', dal quale però non è stato suonato il singolone "The Misery We Make". L’affluenza è ancora scarsina, ma John Henry e compagnia riescono a scatenare un po’ di movimento con pezzi come "Infinite Eyes", "Rapture In Exile", "Savor The Kill" e "Love As A Weapon", per finire in bellezza con la solita clamorosa "With A Thousand Words To Say But One". Il classico gruppo che non delude, fa benissimo il suo lavoro e ti lascia sempre un bel ricordo. Su un palco a dire poco epico, e sulle note di "Diary Of A Madman" di Ozzy i nostri appaiono on stage (con il nuovo bassista Jared, un ottimo acquisto anche se forse meno carismatico di Duce), e cominciano con "Imperium". E’ già il tripudio di pogo e di urla, la band non manca di incitare di continuo l’audience, i suoni sono cristallini e perfetti e i Machine Head sono una macchina oliata a puntino e capeggiata da un Flynn in stato di grazia. "Now We Die", il primo estratto dal nuovo disco, è già stata metabolizzata e viene cantata a gran voce da tutti i presenti, e i vecchi classici come "The Blood The Sweat The Tears", "Bulldozer" e "Ten Ton Hammer" vengono accolti in maniera a dir poco calorosa, anche grazie alle coinvolgenti introduzioni di Robb (sicuramente pianificate e recitate, ma chissene), che non lesina le solite bestemmie e i soliti lanci di cocktail verso il pubblico (arrivando anche a fare una gara tra varie sezione del parterre a chi avrebbe acchiappato al volo la bevanda). A fronte di una prestazione tecnica ineccepibile e piena di feeling, solo la setlist è parsa un pochino breve e forse da rivedere; vengono proposte ancora "Beautiful Mourning" e "Bulldozer" quando dal nuovo album si potevano inserire gemme come "Game Over", o "In Comes The Flood". Buona invece la decisione di includere "Bite The Bullet", ma tant’è, non si può fare tutti contenti e ad ogni modo che facciano A o B i Machine Head per dirla al’americana ‘deliverano’. Una prestazione eccellente, una garanzia, ormai una delle poche. Imperium Beautiful Mourning Now We Die Locust The Blood The Sweat The Tears Ten Ton Hammer Night Of Long Knives Bite The Bullet Darkness Within Bulldozer Killers & Kings Davidian Aesthetics Of Hate Old Halo
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